AGI - Prima Leonardo, poi Dalì, c’è grande attesa per sapere in cosa si trasformerà stasera Max Gazzè per interpretare “Il farmacista” che ha portato in gara al Festival di Sanremo. “Potevo andare con un brano che in qualche modo raccontasse una congiunzione emotiva più intensa o che descrivesse un po' lo stato delle cose attuali – svela Gazzè all’AGI - oppure andare con la mia ‘tipica’ ironia e presentare qualcosa che potesse portare una sorta di rimedio naturale, che è il sorriso, il buon umore”, scelta la seconda via colpendo perfettamente nel segno, non solo perché le sue performance ci hanno regalato un momento di svago dentro uno show dai ritmi spesso molto lenti, dovuti a tutta una serie di fattori dovuti all’emergenza sanitaria in atto, ma anche perché si tratta di un brano ottimamente ideato e costruito.
“Il farmacista – prosegue - con questa narrazione un pò profetica, sciamanica, di colui che ha la soluzione, mi sembrava una canzone interessante da presentare. Quindi ho preferito la strada dell’ironia, per darsi un po' di allegria in questo momento così difficile, così drammatico”.
La classifica non è fortunatissima, Gazzé naviga nel limbo poco più giù della decima posizione, ma della classifica non gli importa granchè: “Io ho sempre chiesto di partecipare al Festival di Sanremo ogni volta che c’era qualcosa da presentare, da comunicare; più che altro perché sono pigro, non mi va di fare promozione per un anno, concentro tutto in una settimana, questa è la verità più cruda e bieca” dice ridendo.
In realtà “Il farmacista” anticipa l’uscita di un nuovo disco concepito per lavorare con quella Magical Mystery Band capitanata dall’amico di sempre Daniele Silvestri, gli stessi che lo hanno accompagnato durante la serata dei duetti per la sua “Del mondo” dei CSI, “Un brano che ha squarciato tutto il mondo di paillets dell’Ariston per raccontare qualcosa di sanguinariamente realistico” come ci spiega.
L’avventura con “Il farmacista” è la sua sesta al Festival di Sanremo, un Festival molto particolare ovviamente, fortemente condizionato dall’emergenza sanitaria: “Io sono stato il primo a dire che non avremmo potuto far finta minimamente che questo Sanremo fosse come gli altri o che si potesse fare bypassando quella che è la realtà della situazione” spiega. Una situazione che si riflette sullo show, e tutti se ne sono resi conto, soprattutto per quanto riguarda i conduttori, ci tiene a sottolineare Gazzè: “Ne soffre di più chi sta sul palco a presentare, a fare spettacolo senza avere una spalla importante come il pubblico, con cui interagisci per quelle che sono le dinamiche legate alla conduzione del festival, quindi capisco le difficoltà di Ama e Fiorello. Noi cantanti però – spiega - dobbiamo entrare sul palco, posizionarci davanti al microfono, cantare e poi andarcene. Poi siamo consapevoli che ci sono milioni di persone a casa che guardano, onestamente non ha molto senso dire che la performance è penalizzata dal fatto che non c’è pubblico in sala, almeno per me è così”.
Il 9 aprile uscirà “La matematica dei rami”, che, come ci spiega, è un disco “Molto eterogeneo, ha all’interno brani diversi l’uno dall’altro, tutti con grande carattere e peculiarità”, l’occasione giusta per parlare anche della nuova discografia, quella “contro” la quale si trova a competere anche in questa settimana al Festival. “Non è che io mi metto a fare le cose pensando di competere con quelli che fanno le cose al computer. Io ascolto con grande attenzione quello che accade, ho dei figli adolescenti, dei figli più grandi, mi fanno ascoltare delle cose, anche molto interessanti, per cui non sono uno di quelli che sta a dire – e la sua voce prende la forma di un vecchio brontolone - ‘Ai miei tempi la musica si faceva suonata! Sentitevi i chitarristi jazz!’. No, anzi sono curiosissimo di ascoltare. Io sono un cultore del bello, se una cosa è bella non mi domando perché mi piace. Quando penso a un mio disco – prosegue - penso a un bel suono, un bel mastering, un bel mix, un bel microfono, la batteria , la chitarra…penso a queste cose perché nasco da quel mondo e continuo a proporlo, c’è una fetta di persone che magari non si trova in sintonia con tutte queste cose elettroniche”.
Quello che stiamo vivendo è essenzialmente un periodo rivoluzionario per quanto riguarda il suono, “Stiamo vivendo una geometrizzazione euclidea della musica, per cui tutto è quantizzato, composto, scandito da un dogma, dal click, dalla voce perfettamente robotizzata con l’autotune, con tutti questi apparecchi che servono a far quadrare tutto. Anzi, la cosa che mi lascia un po' perplesso è che quando faccio sentire ai miei figli un pezzo totalmente fatto dal vivo pensano che sia strano perché in realtà fluttua, non è meccanico. Ma la musica è una rappresentazione della matematica della natura, del suono della natura, e nella natura non c’è niente di quadrato, e non ha bisogno di essere calcolata, così come il cielo non ha bisogno di essere calcolato”.
“Chiaro che c’è un’atmosfera diversa rispetto alle edizioni precedenti, ma probabilmente chi ne soffre di più è chi sta sul palco a presentare, a fare spettacolo senza avere una spalla importante come il pubblico, con cui interagisci per quelle che sono le dinamiche legate alla conduzione del festival, quindi capisco le difficoltà di Ama e Fiorello. Noi cantanti però dato che non possiamo parlare o raccontare chissà cosa, dobbiamo entrare sul palco, posizionarci davanti al microfono, cantare e poi andarcene, per cui alla fine che ci sia un pubblico in sala o che non ci sia, hai le luci in faccia, l’orchestra di lato, ed è una bella cosa suonare con l’orchestra a fianco, molto emozionante e poi siamo consapevoli che ci sono milioni di persone a casa che guardano, per cu non è che mi penalizza, onestamente non ha molto senso dire che la performance è penalizzata dal fatto che non c’è pubblico in sala, almeno per me è così.