AGI - È complesso scrivere di “Cinema Samuele”, perché “Cinema Samuele” non è solo un buon album, non è solo indiscutibilmente e di gran lunga il miglior album del 2020; “Cinema Samuele”, il disco che riporta musica e parole di Samuele Bersani nelle nostre vite dopo sette anni di silenzio, apre uno squarcio nel cielo di plastica della musica italiana, sfonda il business, manda in tilt gli algoritmi, fa deragliare quel treno che procede liscio liscio sui binari della cosiddetta “musica liquida”.
“Cinema Samuele” soprattutto mette in imbarazzo dalla bellezza, riesce a fare ciò che la musica sempre più raramente riesce a fare, ovvero spogliarci; ovviamente serve che la nostra anima trasudi decenza per afferrare l’occasione, per restare nudi dinanzi ad una musica che non vende emozioni a buon mercato, in maniera sguaiata, cinica, cieca e sorda, che te le serve in tavola crude, senza piatti, posate e tovaglia, lì per lì, giusto per nutrirti, intrattenerti fino al prossimo skip.
Per questo poi certa musica, quella che fa eco con “Cinema Samuele”, viene definita “impegnata”, perché è l’etichetta più comoda per chi cerca una scusa, un diversivo per compiacere la propria pochezza, per imboccare una scorciatoia per arrivare dietro l’angolo, troppo pigro o affaccendato per andare oltre, perché alla fine dell’orizzonte ci arrivi solo cavalcando una bestia imbizzarrita, mica con un volo low cost.
Nella maggior parte dei casi poi non si sa cosa ci si perde, o meglio, si ignora volontariamente, nel caso di “Cinema Samuele”, ma diremmo senza problemi tutta la discografia di Samuele Bersani, ve lo diciamo noi: tanto, forse più di quanto ci si possa permettere. Questo perché Bersani, tagliato il checkpoint dei cinquant’anni, dopo aver attraversato tutte le fugaci ere della discografia italiana, da quella di MTV degli anni ’90 a quella dei talent dei 2000, fino al post itpop dei fine ’20, rimane uno dei pochissimi eredi dei grandi del nostro cantautorato, un artista esattamente all’altezza di chi prima di lui ha consegnato le proprie opere alla storia, chi le ha scippate dalle mani del tempo che passa e piazzate lì dove nessuno le potrà mai più toccare.
Di oltre il 90% dei dischi che abbiamo ascoltato negli ultimi mesi già oggi facciamo fatica a ricordare brani, intuizioni, perfino nomi e facce degli artisti in alcuni casi, di “Cinema Samuele” parleranno i nostri nipoti e i nipoti dei nostri nipoti, un po' come è accaduto e accadrà per sempre a capolavori come “Come è profondo il mare” di Lucio Dalla, tra l’altro uno dei primi ad aver intuito l’essenza di Bersani come musicista e forse anche come persona, o “Emozioni” di Lucio Battisti, o “Non al denaro, non all’amore, né al cielo” di Fabrizio De André, o “La voce del padrone” di Franco Battiato, o “Rimmel” di Francesco De Gregori, e naturalmente potremmo allungare la lista con un’altra decina di titoli, non di più e, nella maggior parte dei casi, si tratterebbe, ahinoi, di cantautori passati a miglior vita, sempre troppo presto.
“Il tuo ricordo” per esempio, è un brano che trascende il tempo come una Piramide, la teoria della relatività di Einstein o “La notte stellata” di Van Gogh, che sono opere che elevano ad una potenza quasi divina la propria singolare forma di umanesimo, semplicemente perchè parlano di noi, un noi che appartiene a tutti i tempi e a tutte le latitudini. Perché non esiste un solo uomo sulla sempre più brutta faccia di questo pianeta, qualsiasi sia la parabola dentro la quale si sia incanalata la sua vita, che non se la stia vedendo in qualche modo con il proprio passato, che non sia costretto a guardarlo in faccia, ad affrontarlo a muso duro, a provare a pugnalarlo al cuore, ad imparare a conviverci, ad accettarlo, a risolverlo o, come racconta Bersani nel brano, a batterlo in velocità, lasciarselo lì alle spalle dove, volente o nolente, è il suo posto.
Non importa chi e come e quando è stata fatta una cosa, importa quanto nel tempo quella bellezza sia incapace di appassire. Le canzoni di Samuele Bersani sono così e lo sono più o meno da sempre, ascoltare “Il tuo ricordo” è inevitabile che si tiri dietro il sapore di quando per la prima volta le nostre orecchie sono state accarezzate dalla poetica di “Giudizi universali”, “En e Xanax”, “Replay”, “Ferragosto”, “Il pescatore di asterischi”, “Chiedimi se sono felice”, “Occhiali rotti”, “Maciste” o “Il mostro”; stelle che stanno ancora lì nel cielo a brillare sopra le nostre teste, esattamente come il giorno in cui si sono accese.
Bersani in “Cinema Samuele”, per l’ennesima volta, si spoglia e si regala completamente e con la più genuina onestà, ci parla di se stesso senza riempirsi di se stesso, che è un atto artistico ormai talmente sconosciuto da risultare quasi eroico, forse per questo poi è così semplice appropriarci delle sue parole, farle nostre in tutto e per tutto, vestire con tale agilità le sue storie.
Non è questione di una roba che è bella o brutta, quando l’arte è arte non viene nemmeno in mente di offenderla riassumendola in due singole e così brevi opzioni; siamo noi, è vita, musicata e cantata e offerta per riempire quel vuoto che da soli non sazieremmo nemmeno in quattro esistenze, che non risparmia le difficoltà e nemmeno il riscatto, che non indora la pillola, che non mente, che non vuol farla passare per quella che non è, anche nella sua disarmante atrocità o nella sua passionale bellezza.
Questo si perde chi si perde le opere di Bersani, questo vi toglie chi non offrendovele ve le toglie, questo è ciò che da speranza ad un settore ingoiato dalla vacua freschezza di un reggaeton, da esplosioni trap di egocentrismo plastificato, da tormentoni semestrali usa e getta; viviamo in un mondo in cui i disegnetti dell’ora di artistica di ragazzetti delle medie, nemmeno troppo dotati, oscurano la Cappella Sistina di Michelangelo, e non ce ne rendiamo nemmeno conto, lo accettiamo, ce la balliamo, ci lasciamo distrarre, ipnotizzare in un tik tok, fregare al gioco delle tre carte e nessuna mai è quella giusta.
Forse per questo poi pensando a Samuele Bersani non possiamo che decretare, con grata disperazione, forse anche suo malgrado, che abbiamo a che fare con un artista più che bravo, necessario, cui unicità conquisterà il tempo oltre lui, oltre chi scrive e oltre chi legge. Le canzoni di Samuele Bersani sono perle che compongono tutto ciò che di meglio possiamo scrivere, pensare, cantare e lasciare di noi e di questo minuscolo segmento di storia che il destino, con il suo capriccioso senso dell’umorismo, ci ha condannati a vivere.