AGI - Il ritorno discografico di Frankie hi-nrg mc ha scosso il web, non solo perché c’è da esultare quando sulla scena torna un artista così completo, che è riuscito a declinare il rap al largo pubblico televisivo, perfino sanremese, senza snaturare mai né il proprio genere, né se stesso, personaggio capace di assottigliare fino all’assenza quello spazio che divide i rapper dai cantautori e, andando ancora oltre, dagli intellettuali.
La nuova canzone, disponibile su tutte le piattaforme dedicate da circa una settimana, si intitola “Nuvole” ed è una profonda e impietosa e poetica analisi del periodo drammatico che stiamo vivendo, nelle rime di Francesco Di Gesù, così all’anagrafe, si possono rispecchiare i nostri umani limiti dinanzi alla tragedia incombente.
“Nuvole” è un ritorno? L’anticipo di un nuovo album? O l’hai inciso spinto semplicemente dalla voglia di dire la tua riguardo questo momento così complesso?
“Sicuramente è un ritorno, perché era un pò di tempo che non facevo uscire musica mia che non fosse una collaborazione con qualcuno o qualcosa di squisitamente occasionale. L’ho scritto spinto dalla voglia, fondamentalmente, di superare un’impasse, un’esperienza che è comune a tanti, quella del lockdown, che è stata difficile. Fresco, il mio producer, mi ha detto “Oh ti mando una base, prova a scriverci qualcosa su”, “ma non mi viene niente” rispondo, “allora prova a scrivere del fatto che non ti viene niente”, ed è uscito fuori il testo di “Nuvole”, una sorta di esorcismo dalla paura del buio che ci stava attorniando”
Nel testo sono tantissimi gli spunti ai quali ti agganci per raccontare questo momento, ma qual è l’immagine che ti verrà in mente immediatamente pensando a questo periodo?
“Io ho vissuto il primo lockdown a Cremona ed è stata una zona nella quale si è vissuto in maniera pesante fin da subito e che è stata duramente segnata dall’esperienza della pandemia. Ripensando a quel periodo mi viene in mente il suono delle 30-40 ambulanze che sentivo sfrecciare durante il giorno e la notte, con l’impossibilità di uscire di casa, quella è l’immagine più forte che ho snocciolato in maniera più o meno poetica all’interno della canzone”
Il tuo ultimo album è uscito nel 2014, cosa è successo in questi anni e come mai questo silenzio?
“È stato un silenzio musicale, sono sempre stato abbastanza eclettico nelle mie occupazioni e nelle mie espressioni e da sempre la scansione con la quale escono i miei album è di 5-6 anni tra l’uno e l’altro e nel frattempo faccio altre cose. Nella fattispecie, in ordine sparso e dimenticando cose importanti, ho fatto una mostra fotografica che ha fatto un grande successo in una galleria di Milano".
"insieme a Marco Paolini ho scritto un oratorio con musica per un’orchestra di 84 elementi e siamo andati ad esibirci nei più grandi teatri italiani, ho condotto un documentario su Gianni Rodari, ho scritto un libro che si intitola “Faccio la mia cosa”, in cui racconto in parte la mia esperienza di vita e contemporaneamente racconto la cultura hip hop che è partita dai sobborghi di New York ed è diventato il genere più popolare al mondo e muove un giro d’affari di fantastiliardi, ora sono a metà della scrittura del mio primo romanzo. Oltre la musica ho altri interessi, faccio dell’altro e riesco a trovare delle belle espressioni”
Dal 2014 sono cambiate molte cose, il rap è esploso e ora sta in cima a tutte le classifiche, come lo stai vivendo tu questo passaggio?
“Una volta era difficile potersi affacciare in una radio, oggi torreggiare in vetta alle classifiche è una cosa positiva, significa che c’è stato un passaggio epocale e di questo passaggio siamo tutti testimoni e protagonisti e dobbiamo goderne”
Credi che il rap diventando così smaccatamente mainstream si sia in qualche modo snaturato?
“Diciamo che esiste una componente di rap che è mainstream ma il rap non è affatto mainstream, c’è un sacco di rap che io stesso non conosco appena sotto il pelo dell’acqua del mainstream; ci sono delle invenzioni, produzioni, un pulsare di vita pazzesco che non è ancora mainstream e chissà se mai lo diventerà. E certi temi sono sempre stati cari all’hip hop, il tema della ricchezza, un certo machismo che si è un po' andato ridimensionando in questi anni. Noto con favore che c’è un po' meno maschilismo, un po' meno di ostentazione di fisici apollinei e scultorei, e un po' più di gente normale, magari vestita in maniera più appariscente, con i capelli più bizzarri, però è parte dell’evoluzione e si vede soltanto la crosticina di questa cosa”
Il tuo pezzo più celebre, “Quelli che ben pensano”, era una fotografia precisa della realtà di quegli anni, ma il rap la racconta ancora la realtà?
“Relata refero, mi dicono che “Quelli che ben pensano” sia tutt’ora una fotografia precisa della realtà di questi anni. Il rap racconta, come tutti i racconti, alle volte la realtà, alle volte la fantasia, alle volte le aspettative, alle volte i problemi, alle volte quasi balbetta pezzi di se stesso, porzioni di sé che non si possono nemmeno spiegare, motivare, che però emergono sottoforma di frasi che giustapposte sono emanazioni del proprio pensiero. Quindi si, penso che il rap racconta ancora la realtà, pure quando descrive scenari di fantasia dove il protagonista, l’autore, si descrive al volante di macchine fuoriserie costosissime, circondato da straordinarie bellezze, mentre la sua realtà è un appartamento in periferia e un lavoro dipendente in attesa di fare successo. La creazione di questo immaginario è assolutamente hip hop, è parte dell’hip hop delle origini, perché è un’ambizione che sempre c’è stata e sempre ci sarà e lo vedo accadere regolarmente”
Che rapporto hai con “Quelli che ben pensano”?
“Bah, ogni tanto ci si sente con grande piacere e devo dire che lo trovo sempre in forma”
Tu sei un rapper classe ’69 che lavora in un mondo che in classifica vede dominare ragazzi classe 2000, cosa pensi di questa nuova generazione? C’è qualcuno che ti ha particolarmente impressionato?
“Intanto c’è una nuova generazione, grandiosa notizia in un mondo in cui le cose tendono a smorzarsi, a sgonfiarsi, qui invece vediamo un fenomeno che cresce, in direzioni che magari non si potevano neanche immaginare anche solo un anno fa, e la trovo una cosa positiva. Mi ha impressionato lo straordinario successo istantaneo di Sfera Ebbasta con l’ultimo disco e sono contento per lui, per dj Shablo, che conosco da 30 anni, eravamo ragazzini appassionati di hip hop a Perugia, io facevo l’università, lui ci abitava, ci si vedeva e il fatto che ora abbia fatto questo successo straordinario, planetario, mi rende proprio felice per lui, sono contento".
"Tha Supreme mi piace, perché anche lui è molto eclettico nella sua scrittura, riesce ad esprimersi in tanti stili, ha una creatività musicale oltreché lirica, letteraria; certe invenzioni di parole, di situazioni, la scelta di comunicare attraverso un immaginario fatto di fumetti, di cartoni animati, però quella è un racconto della realtà, anzi nel caso di tha Supreme assoluto, profondo e cosciente, perché non sono parole di un ragazzino, sono parole di una persona molto giovane che però sa cosa dire e come dirlo”
Come invecchia un rapper?
“Appena ne trovo uno vecchio glielo chiedo, giuro”
Visto che sei un attentissimo osservatore della realtà, come si è mosso secondo te il governo rispetto alla cultura? Molti lamentano che il messaggio che arriva è quello che la cultura non è un bene di prima necessità, anzi, sembra quasi essere una roba poco importante, buona giusto per l’intrattenimento…
“Si, purtroppo questa sensazione l’abbiamo avuta tutti e l’abbiamo avuta noi operatori del settore, purtroppo l’ha avuta anche il pubblico; e certa parte di pubblico magari, in un momento in cui devi pensare ad un sacco di cose urgenti, svogliatamente, distrattamente, superficialmente, si è anche appoggiata all’idea che in fondo la cultura è una cosa che si riduce a ‘fatemi qualche bella canzone, dei bei film, così mi passa il tempo e tutto il resto è fuffa’, mentre in realtà sappiamo non essere così, sappiamo che dietro ogni canzone non c’è il lavoro di una persona, c’è il lavoro di una squadra".
"Il problema è che a livello centrale, a livello di governo, la cultura purtroppo non è ben rappresentata. Quella della musica è una situazione strana, perché ci sono delle star, che sono in alcuni casi multimilionarie, giustamente, perché fanno un grande successo, belle canzoni che piacciono a tutti, e ci si illude che queste persone multimilionarie pietiscano nei confronti del governo ‘perché non si pensa alle esigenze etc…’ senza considerare, sempre perché da parte del pubblico si è distratti da cose più urgenti, dalla contingenza del vivere e non si considera che un livello sotto questi grandi nomi, c’è una caterva di persone che lavorano, da fonici, palchisti, tecnici luci, facchini, autisti, scenografi…c’è un universo di persone nascoste tutte dietro quel singolo grande nome”
Diversi tuoi colleghi hanno ipotizzato delle soluzioni…
“In questo periodo di lockdown mi sono sentito con vari colleghi e in tutti ho riscontrato un’enorme coscienza nei confronti delle responsabilità verso chi lavora con noi, le persone dal cui lavoro noi dipendiamo, perché un grande concerto si fa quando tutto funziona e ci vogliono tante persone per far funzionare tutto; e abbiamo legami di amicizia, oltreché debiti di stima nei confronti di queste persone. Mi sono confrontato in più di un’occasione con Laura Pausini per condividere la ricerca di idee su come riuscire a fare squadra, a fare sistema, a smuovere l’attenzione delle strutture pubbliche, del governo, del ministero…per poter creare un tavolo in cui ci sia effettivamente una rappresentanza delle varie categorie e non, per l’ennesima volta, un display di forze per un grande faraonico evento che viene visto come il coronamento di un’operazione che si riduce a quell’evento lì e che lascia scontenti tutti. Ecco un pochettino più di pragmatismo da quel punto di vista non mi dispiacerebbe”