AGI - E' appena uscita in libreria e in tutti gli store online specializzati “E' andata così”, autobiografia di Luciano Ligabue scritta a quattro mani assieme allo speaker radiofonico, scrittore e giornalista Massimo Cotto. Il libro ha subito riscosso un grande successo piazzandosi ai piani alti delle classifiche di Amazon e Mondadori e non poteva essere diversamente, questo perché Luciano Ligabue si porta dietro una storia che assomiglia ad una favola, un universo cui big bang è una provincia raccontata sempre con l’epica che le si deve, un immaginario unico e poetico. Ligabue è amato perché, come recita anche il titolo del suo primo disco live, resta sempre “Su e giù dal palco”, riesce a coniugare come nessuno nel panorama musicale italiano, l’essere star con l’essere profondamente umano, l’essere cantante con l’essere ascoltatore appassionato di musica. E allora è anche per questo che “è andata così” è un libro particolarmente atteso, perché chi conosce Ligabue è consapevole anche della sua trasparenza come artista e come uomo, e sa che dentro ci troverà nient’altro che lui e la sua meravigliosa storia. Per scavare un po' di più nelle pagine del libro abbiamo raggiunto Massimo Cotto.
Che storia racconta il vostro libro?
“Racconta la storia di una persona che è arrivata tardi alla musica, o meglio che è arrivata tardi al primo disco, perché il primo disco è uscito quando Liga aveva 30 anni, e quindi era disperatamente, o meravigliosamente, alla ricerca di se stesso. E nella seconda parte si racconta una storia credo assolutamente impensabile per chiunque e più di tutti per lui date le difficoltà con cui era arrivato il primo disco”
Cosa possono scoprire i fan del Ligabue artista leggendo questo libro?
“Intanto tutte le leggende metropolitane che vengono smontate pezzo per pezzo, quindi tutto quello che si era sempre creduto e invece non è. C’è poco spazio al gossip, anche se è un libro molto intimo, pieno di fatti personali: quando ha deciso di abbandonare tutto al culmine della popolarità, gli aborti, le separazioni dalla prima moglie…insomma è un libro che non fa sconti, però è ovvio che il centro del racconto sono i suoi dischi e quindi racconta come sono nate le canzoni, soprattutto come il Liga, come persona, è cambiata da un disco all’altro”.
C’è una di queste leggende che girava e che il libro smentisce, che puoi anticipare?
“Il fatto, ad esempio, che sia crollato per la neve il palco a Modena nel giorno di capodanno, che è una leggenda che viene tramandata ovunque e che non corrisponde assolutamente al vero. C’è una parte relativa a tutti gli incontri con Pavarotti, ho scoperto che non è vero che Pavarotti fosse così convinto di fare “Certe notti”, Nicoletta Pavarotti voleva assegnare a Ligabue “I' te vurria vasà”, grande canzone della tradizione napoletana ma non proprio nelle sue corde. Poi c’è un’altra leggenda metropolitana che è legata a questo episodio: si dice che al Pavarotti & Friends Ligabue abbia incontrato nei camerini Piero Pelù, che invece fu quello che cantò “I' te vurria vasà”, e allora Ligabue avrebbe fatto il gesto dell’ombrello, come a dire “te la sei presa tu”, e Piero che rimase senza parole. Questa storia molto divertente, che si è tramandata nei secoli, purtroppo non corrisponde al vero”
A proposito di leggende metropolitane, nel libro si parla anche di Vasco?
“No, è stata proprio una scelta, perché non è un libro polemico nei confronti di nessuno. Parlare di Vasco avrebbe significato in qualche modo riportare alla luce vecchie cose, tra di loro c’è stata sicuramente un po' di ruggine, ma sono più le due tifoserie incazzate l’una con l’altra. Il libro voleva essere una confessione a cuore aperto dove non credo ci dovesse essere spazio per un’ulteriore polemica, anche perché quella polemica poi avrebbe fagocitato tutto il libro”
Cosa invece possono scoprire i fan del Ligabue uomo?
“Io quello che posso aggiungere, e che non c’è nel libro, è che Luciano è una delle persone più pure e più oneste che io abbia mai conosciuto in questo mondo. Non è scritto da nessuna parte che un grande artista debba essere un grande uomo, noi dobbiamo giudicare soltanto l’oggetto d’arte, ma lui è sincero, trasparente, non puoi non rimanerne colpito. Questo è un libro dove non nasconde le sue debolezze, la sua fragilità, è un libro dove si mette a nudo, lui stesso ha detto che questo è un libro definitivo perché sarebbe difficile aggiungere qualcosa di più”
C’è qualche aneddoto, stavolta vero, che ti ha particolarmente divertito?
“La storia di Pavarotti che gli chiede di raggiungerlo da Chenot a Merano, quando Ligabue arriva scopre che in realtà nasconde tre enormi salami alti un metro dietro le tende e che tutto il frigorifero è pieno di caciotte e qualsiasi ben di Dio che lui aveva comprato negli autogrill durante il tragitto; quindi Pavarotti è l’unico al mondo che andava da Chenot non per dimagrire ma per poter mangiare liberamente perché a casa giustamente Nicoletta lo controllava. Poi una storia che mi ha fatto molto ridere è quella di Federico Poggipollini, sempre al Pavarotti&Friends tutti stavano aspettando Ligabue e la sua band alle prove il giorno dell’esibizione, tra l’altro Pavarotti continuava a non imparare bene “Certe notti”, ad avere difficoltà, c’era un po' di apprensione, e quindi arrivano tutti ansiosi di provare, meno Poggipollini e nessuno riesce a trovarlo. Capitan Fede aveva sbagliato posto, quando è arrivato con un ritardo cosmico, Maioli, il manager di Ligabue lo ha accolto con quella che negli anni sarebbe diventata “LA bestemmia”, soltanto una ma con una potenza tale che da allora sarà ricordata come “LA bestemmia”.
Secondo te, ripercorrendo la carriera, c’è una canzone, magari anche non tra le più famose del suo repertorio, alla quale Ligabue è più legato?
“Probabilmente “Urlando contro il cielo” perché è una canzone che ha scoperto essere molto molto amata dai suoi fans, che intonano ancora prima che il concerto inizi; poi, come spesso accade agli artisti, ci si lega di più a quelle canzoni che hanno meno successo, o che magari hanno meno visibilità, quindi non ai singoli; tu pensa che Ligabue ha fatto 77 singoli, se fai un calcolo vuol dire che in media, ogni quattro mesi, usciva con una canzone che ha puntualmente scalato le classifiche”
Cos’ha dato secondo te Ligabue al cantautorato italiano?
“Ha dato intanto un ponte ideale con l’America, Ligabue è profondamente rock nell’animo, non lo è completamente nella musica, nel senso che la sua musica, rispetto al rock tradizionale, ha forse qualche grado di melodia in più, però ha dato quello, un nuovo modo di vedere le cose, ha dato il diritto di cittadinanza alla provincia e a tutto un mondo che fino a quel momento, prima di lui, entrava soltanto tangenzialmente nelle canzoni. Ha rappresentato anche credo un percorso onesto, mi viene in mente Springsteen, e forse lui non apprezzerebbe tanto il paragone perché lo paragonavano a Springsteen i primi anni, ma Springsteen è uno che è invecchiato con il suo pubblico e Luciano è uno che è cambiato con il suo pubblico, cioè non scrive più le canzoni che scriveva quando era ragazzo o comunque, meglio ancora, ha scritto sempre canzoni che lo rappresentavano in quel momento, senza curarsi troppo che fossero di facile presa o meno, un altro al posto di Ligabue avrebbe fotocopiato se stesso e invece lui ha avuto il coraggio, dopo ogni album di grande successo, per esempio, di fare un album più buio, più cupo, più oscuro, e quindi di rischiare un po' di più”
Chi è oggi Ligabue come artista e come uomo?
“Da un punto di vista artistico è un uomo che ribadirà nel prossimo disco che c’è ancora forza nelle canzoni e nella voglia di raccontarle, credo sia una persona non completamente felice perché gli artisti non lo possono essere, se gli artisti fossero sempre completamente felici non scriverebbero canzoni, perché ovviamente hanno bisogno di quelle piccole malinconie, di quei dubbi esistenziali, di quei punti interrogativi che servono poi per la loro arte, quindi quelli che per le persone sono piccoli inciampi alla felicità per un artista sono in qualche modo una benedizione”