Esce 'Destri' di Gazzelle: "Provano ad imitarmi, ma è difficile"
AGI - È uscito a mezzanotte di giovedì “Destri”, il nuovo singolo di Gazzelle, cantautore romano di quella famigerata generazione di indie che negli ultimi anni si sono letteralmente divorati il mercato discografico. Storia vecchia ormai se consideriamo che anche la matrice stessa della scena viene considerata dai più “morta”.
L’indie è morto a quanto pare, non c’è una persona che l’ha deciso ma c’è una percezione, anche abbastanza vivida, che contrappone il termine “indie” a quello di “successo”, il panorama indipendente muore nel momento in cui un autore fa successo, sfonda, ce la fa, riempie fino all’orlo luoghi sacri del live italiano come l’Arena di Verona, il Forum D’Assago di Milano o il Palalottomatica di Roma.
La notizia invece è che “Destri” è una canzone che parla di amore, come molti altri pezzi di Gazzelle, ormai è diventata una specialità della casa a dire il vero, ma che non stanca mai.
Questo perché oltre ad una nuova generazione di cantautori, dopo il black out pressoché assoluto dei primi dieci anni del nuovo millennio, è venuta fuori una nuova generazione anche di pubblico che è riuscito nell’impresa epocale di costringere lo showbiz musicale a rivoluzionare i propri canoni, le proprie fondamenta, in qualche modo anche salvandolo dalla deriva televisiva a colpi di talent plastificati alla quale si era condannato da solo.
Ma non è tutto, la parte più interessante della rivoluzione indie sta più che altro nei contenuti, questo nuovo pubblico si è andato a scovare e celebrare artisti che hanno messo da parte il celodurismo del decadente ventennio targato 1990/2010, per concentrarsi su tematiche più profonde ed etichettate negli anni passati quasi come roba da sfigati, cliché assurdi che hanno rischiato di mandare alla deriva la carriera di molti cantautori di talento.
L’indie riempie i palazzetti della penisola invece parlando di amore, inquadrando alla perfezione il disagio della generazione di post adolescenti più sfortunata della storia moderna, e Gazzelle di questo movimento ne è uno dei maggiori profeti.
“Destri” è un grido arrabbiato, una metafora splendidamente efficace della fine di una storia e dei sentimenti forti che ci rimbalzano dentro in maniera futile, inutile, dimenticabile; una canzone nata evidentemente da un’esigenza da parte di Flavio Pardini, così come esce all’anagrafe, parole che sgorgano via oneste accompagnate da un sound che, pur restando nei confini del melodico, suona molto più duro, grattato, inquieto.
Hai mai pensato al fatto che un’intera generazione di ragazzi ti ha dato l’incarico di tradurre il proprio sentimentalismo, il concetto stesso di amore?
“No ma da ora ci inizio a pensare (e ride). Sicuramente non è facile parlare di un tema di cui tutti hanno già parlato e riuscire a dire sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che ti arriva forte addosso, cercando di non essere mai banali o ripetitivi o scontati. Penso che con questa canzone ci sono riuscito”
Una volta se cantavi d’amore passavi quasi per sfigato, tu hai mai sentito questa responsabilità nell’aver risvegliato e messo al centro questo tema?
“No, però mi sembra una bella responsabilità. Penso sia una cosa bella, è bello dare ascolto ai sentimenti, non ci trovo niente di sfigato, è una cosa così potente, così universale, così ‘per sempre’. L’umanità ne ha bisogno, alla fine, come dice Brunori, 'se non parlo d’amore di che devo parlare?'.
C’ha ragione lui, è il sentimento più grosso, che muove di più le cose, di tutto l’universo, quindi scriverne è una responsabilità, però è importante che qualcuno lo faccia. Forse sono un po' romantico…”
Tu sei uno di quelli che ha contribuito più di tutti all’esplosione di questa nuova scena cantautorale, ma qual è la differenza da quando hai iniziato? Perché si parla tanto di questo indie che è morto come se un giocattolo si fosse rotto…
“Io insieme a qualche altro artista abbiamo aperto la porta e ovviamente aprendo la porta abbiamo fatto in qualche modo tendenza e tanta gente ha cominciato a pensare che fosse semplice fare questo mestiere.
‘Ok, ci metto un piano elettrico, due parole e ho fatto l’indie’, in realtà non mi sembra sia riuscito, ma ovviamente il fatto che la gente si ritrova cinquanta nomi dentro una playlist è normale che pensa che sembrano tutti la parodia di qualcos’altro, quindi sicuramente avere così tanta scelta te la fa un po' scendere.
Perché poi il pubblico è esigente, il pubblico vuole sempre il giocattolo nuovo, quindi è per quello che nel mio caso con questa canzone, e quelle che magari usciranno, ho cercato di cambiare totalmente le regole, anche per spiazzare gli altri artisti emergenti che vogliono fare le cose come me.
Ma soprattutto il pubblico, per dargli qualcosa di diverso, perché ho sentito l’esigenza, anche io, di fare qualcosa di diverso da quello che ho fatto fino adesso, allora chitarre elettriche, un linguaggio un po' diverso, cercare di non ripetersi è l’unica chiave per rimanere”
Ti sei sentito un po' imitato, vero? Si sentono tanti pseudo Gazzelle ormai…
“Si ma di Gazzelle ce n’è uno solo. Ci puoi provare, ma è difficile”
Effettivamente non c’è riuscito nessuno…
“E non ci riusciranno mai”
Ti sei sentito più fonte di ispirazione o copiato?
“Io sono contento perché comunque è figo, da qualche parte c’è un ragazzino che c’ha vent’anni che prende la chitarra e suona le cose mie come io facevo con i Beatles, certo a me è andata meglio, avevo dei riferimenti più forti (ride). Però mi piace la cosa, mi stimola pure a fare sempre cose diverse, a non farmi mai raggiungere".
"Quando sento qualcuno che vuole fare una cosa come la mia, e poi magari sento pure che c’assomiglia, allora io non la faccio più, dico ‘falla te, ora ne faccio una diversa, vediamo se riesci a copiare pure questa’. Alla fine penso che ci voglia talento e devi trovare la tua identità"
"Io penso di essere abbastanza unico in ciò che faccio; si, faccio parte di una scena ma se prendi me, Calcutta, Tommaso Paradiso, Coez, non siamo simili, ognuno c’ha la sua identità, siamo riconoscibili, poi magari se prendi tanti altri artisti più piccoli, più nuovi, magari pensi ‘questo assomiglia a Flavio, questo assomiglia a Tommaso, questo a Edoardo…”, però penso di aver messo dei punti saldi sul mio stile quindi sono abbastanza sereno.
Tu ti senti ancora “indie”?
“Per me essere indie vuol dire essere liberi, essere indipendenti, di base la verità è che ancora lo sono. Ho una realtà indipendente alle spalle, ovviamente affiancata da una realtà più grossa, per forza di cose, perché sennò non riuscirei a fare le cose così come vorrei farle e il pubblico non riuscirebbe ad apprezzarle, non gli arriverebbero come dovrebbero arrivare.
Però si, se intendiamo indie per indipendente lo sono, perché tutto quello che arriva al pubblico è tutto scelto da me e dal mio team senza imposizioni, totalmente libero, e questa è una fortuna”.
Ti mancano i live?
“I live per quanto mi riguarda sono tutto. Fare la canzone, scriverla, registrarla, è una parte che mi piace tantissimo, farei quello tutti i giorni, ma il live è qualcosa in più che ti da solo il live, che non assomiglia a nessun’altra esperienza che puoi fare nella vita. Una cosa unica che ti da anche una certa assuefazione, è così bella che non te la possono togliere, ci rimani male.
Quindi mi mancano tanto e spero si possa tornare a farli veramente, come prima, perché non mi piace l’idea di farli in qualche altro modo, in streaming o con la gente seduta…per me è no, io voglio la gente sotto la transenna, voglio che ogni tanto qualcuno sviene, voglio che la gente sta ubriaca, che si bacia, che piange…e lo voglio vedere da lì sopra; quindi spero che in non troppo tempo si torni alla normalità”