È uscito su tutte le piattaforme “Banzai” il secondo disco di Frah Quintale, rapper atipico, narrativo, dalla vena cantautorale, annoverato erroneamente nel 2017, all’uscita di “Regardez Moi”, nel calderone dell’indie, ma di matrice estremamente diversa dai colleghi. Prima di tutto perché Frah Quintale fa rap e poi proprio perché in realtà sono le etichette a non riuscire ad incastrare la sua musica, il suo rap, diverso, sotto tutti i punti di vista anche dai colleghi del genere. È molto probabile che la carriera di Frah Quintale, pseudonimo di Francesco Servidei, bresciano, classe 1989, proseguirà sempre al ritmo di un inseguimento tra ciò che è oggi e ciò che vuole diventare. In “Banzai” questa continua volontà di evolversi appare evidente fin dai primi tre singoli che hanno anticipato l’uscita dell’album, nei quali si scorge netto un cambio di direzione verso un sound molto più black, qualcosa che in Italia ancora si sente poco ma che funziona benissimo.
“I miei ascolti provengono dal rap e dalla black music, quindi diciamo che ho fatto un po' di studio di quella roba, anche applicata all’italiano, alla mia musica, però è stato tutto naturale. Il bello dell’essere influenzati è che quando esce qualcosa non è una copia, l’R&B è una cosa che mi è sempre piaciuta ed è stato tutto abbastanza naturale”
Facciamo un passo indietro e parliamo di definizioni: tu sei un rapper ma sei compreso nell’universo indie, considerato quasi un genere ormai, ma che col rap non c’entra granché…
“In realtà quell’accostamento è stato fatto dal pubblico, ai tempi del mio primo disco “Regardez Moi” del 2017, era tutto molto diverso, c’era anche meno conoscenza e si iniziava un po' a scoprire questa nuova wave italiana, quindi un po' per non conoscenza delle cose, venivo catalogato nell’indie. Ogni cosa ha bisogno del suo tempo per sedimentarsi e diventare una realtà che magari si discosta da dove viene messa inizialmente. Questo disco forse si, rappresenta anche la mia volontà di riuscire a togliermi un po' quell’etichetta dell’indie italiano; io apprezzo tanti artisti, tanti colleghi, però magari la roba mia è molto diversa da un Calcutta, pure essendo catalogati nello stesso genere. Questa cosa andava detta e questo avvicinamento all’R&B era anche per dire ‘oh regà, il mio viaggio è un po' un altro”
È vero che il secondo album è sempre il più difficile?
“è da quando ho finito il primo che sento questa frase e posso confermare”
Cosa hai sentito di così complesso?
“C’entra proprio questo discorso dell’essere catalogati, sono stato messo in questo calderone dell’indie mentre io ho tutt’altra attitudine. La mia paura più grande era quella di fare la mia musica come la sentivo e di non essere capito perché magari la gente si aspettava un disco indie ma, non essendo io quella roba là, la mia paura era quella. Ho fatto “Buio di giorno”, tutta in falsetto, e la mia paura era quella di osare un po' troppo, però mi andava anche di rischiare”
Secondo me uno dei fenomeni più strani di questo nuovo universo discografico è che voi arrivate al secondo disco con una popolarità estremamente alta, tu hai sentito questa pressione anche perché in rete questo album era molto atteso?
“Certo, col primo disco hai delle aspettative ma comunque se succede qualcosa non te l’aspetti, non te lo immagini. Il secondo disco invece è più difficile per il fatto che bisogna confermare la magia del primo disco, poter dire “la roba mia non è uscita per caso o perché ho avuto culo, ma perché sono una determinata cosa”
Credi che piacerà al tuo pubblico?
“Ero molto in ‘para’, ma ho visto che i feedback sono stati positivi, anche perché ho notato che il pubblico sta cercando di raffinare il proprio gusto, la gente ha voglia di qualcosa di un po' più ricercato. Quindi è bello osare ed è bello quando vedi che il tuo osare è recepito in maniera giusta, corretta, dalle persone. Ti fa avere più fiducia sul fatto di poterti spingere un po' oltre, perché uno magari trova la formula per far funzionare la propria musica e magari si adagia, per me questa cosa è poco stimolante, a me piace rischiare, mi piace osare, mi piace sperimentare, però alle volte la paura più grande è non essere capiti. Quando sono usciti i primi singoli ho visto un sacco di gente ovviamente storcere il naso, ma altrettanti dire “cazzo, è una roba nuova, diversa”, quindi questa cosa ti da proprio l’energia per dire “sto facendo la cosa giusta ed è quella che voglio fare io”
Anche perché tu non fai niente di tutto ciò che “va” nell’universo rap per ora, sei sperimentale, narrativo… È una cosa voluta? Tendi ad evitare apposta quel machismo a tutti i costi, quel “faccio uso di droga” a tutti i costi, quel “guarda quanto sono diventato ricco” a tutti i costi? Che sono delle cose che ormai sono diventate ridondanti e perdono un po' di significato…
“Forse è un po' la mia attitudine, non sono uno che si fa vanto di determinate cose se non al massimo in maniera un po' scherzosa. Io ho una scrittura che è differente, ho un mio modo di vedere il mondo. Io scrivo molto a immagini, a giochi di parole, sensazioni, forse il rap di oggi gioca molto sui cliché, ci sono molti pezzi che dicono le stesse cose. L’idea del dire una cosa già detta è una cosa che non aggiunge niente alla mia musica e quello che piace fare a me è andare dove neanch’io sono ancora arrivato e quindi cerco sempre di provare ad aggiungere qualcosa di nuovo, questo mi consente di evitare dei clichè, ma lo faccio proprio per una questione mia di attitudine”
L’anno scorso hai pubblicato un brano dal titolo “Quest’anno” che riassume questo tuo primo periodo di attività e che è rimasto su Spotify per 24 ore. Sembra che il tema della notorietà, della vita da “famoso”, ti sia particolarmente caro; si trovano riferimenti sparsi su questo argomento in diverse tue canzoni. Com’è cambiata la tua vita con il successo?
“Sono cambiate delle dinamiche un po' sociali, nell’andare in giro e magari qualcuno ti riconosce, ma non è che sono Drake che non posso camminare per strada, me la vivo abbastanza tranquillamente. Poi a me questa roba dello scrivere, del fare rap, è una cosa totalmente spontanea quindi mi mette un po' in soggezione il successo, forse questo tempo che è passato dal vecchio disco mi è servito per metabolizzare questa cosa in modo tale da fare le cose in maniera un po' più leggera, sto facendo modo di vivermi questa cosa bene. Poi, ripeto, non sono Kanye West, posso ancora andare a far la spesa. Sono cambiate parecchie cose ma prima di tutto so benissimo di essere Francesco prima di Frah Quintale, penso di essere rimasto abbastanza uguale, se è cambiato qualcosa è cambiato nella percezione degli altri che hanno di me, ma non in me”
E invece pensando ai lati positivi?
“Avere un minimo di potere di parola, la gente ti ascolta ed è un’arma questa cosa. La gente ascolta davvero, ascolta più me che i genitori, ed è figo perché alla fine questa cosa può fare tanto, è una grossa responsabilità ma può fare tanto bene”
Alla vigilia dell’ultima edizione del Festival di Sanremo è scoppiata una polemica riguardante la partecipazione di Junior Cally riguardo proprio il testo di una sua vecchia canzone e la discussione poi si è allargata più in generale ai testi e alle tematiche del rap, tu quando scrivi senti la responsabilità di ciò che esprimi rispetto a chi ti sta ascoltando? Anche perché il rap punta a un target di ascoltatori molto giovani…
“Sicuramente mi rendo conto che le cose che diciamo io e i miei colleghi hanno una risonanza, ma dipende anche da chi ascolta. Uno intelligente o stupido è intelligente o stupido a priori, non c’è bisogno di quello che gli si dice, quindi alla fine mi sono fatto dei problemi ma io racconto me stesso e chi ascolta la mia musica sa riconoscere tutte le mie sfaccettature, sa quando scherzo, sa quando dico una cosa esagerata, sa quando dico una cosa ‘pesa’. In realtà penso che la mia musica sia la più innocua (e ride)”
Perché hai scelto il rap?
“è lui che ha scelto me in realtà. Mio fratello maggiore andava in skate, si era avvicinato a quel mondo là, io ho iniziato facendo graffiti e poi mi è sempre piaciuta la musica e quasi per caso mi sono avvicinato a quel mondo ed è una cosa che mi accompagna dall’adolescenza. Mi ha cresciuto ed io sono cresciuto con lui, è un caso, mi è arrivato”
Ascoltando la tua musica io ci noto molte più influenze straniere che italiane, ma tra i tuoi colleghi italiani ce n’è qualcuno che apprezzi particolarmente?
“Uno dei miei colleghi al momento che più mi ha influenzato è Irbis 37 che è giovane, un talento enorme, il suo disco me lo sono veramente tritato, per questo ho deciso di collaborarci nel disco. La mia influenza è molto più esterofila, ma ci sono tanti italiani che apprezzo, come Venerus che è molto in linea con la roba mia…”
Tu sei consapevole che con “Banzai” potresti battere il record dell’album rap con meno featuring del mondo? Negli altri dischi almeno l’80% dei brani sono in featuring, è una scelta importante…
“Io sono un bastian contrario di natura, mi piace andare controtendenza. Io preferisco sempre collaborare, prima che con il nome del momento, con un Irbis, che è un ragazzo giovane, molto meno conosciuto di altri, con il quale però c’è un rapporto di rispetto, di amicizia, di stima anche artistica che va oltre tutti i numeri, quindi per me era l’unico che volevo nel mio disco al momento”
È una cosa che ha funzionato ai tempi anche con “Missili” con Giorgio Poi, che è un pezzo stupendo…
“Io e Giorgio non ci conoscevamo ma siamo diventati super amici ed è molto bella questa cosa”
Ieri c’è stata la prima festa della musica senza musica, come vedi la situazione?
“Nel nostro settore di facciata si vedono gli artisti e uno pensa che c’è un cantante e basta, dietro invece c’è un mondo di gente che lavora, che ha delle famiglie e deve lavorare. Sicuramente ogni protesta è giusta nel momento in cui c’è bisogno di attenzione. Dall’altra parte si stanno capendo le cose, tra le quali il futuro nostro, di settimana in settimana, quindi anche per noi è un po' difficile prendere una posizione, perché non si capisce, questa cosa della pandemia nessuno se l’aspettava e allora c’è solo da rimboccarsi le maniche e da far due conti per cercare di far ripartire il tutto al meglio”