D al 3 giugno disponibile su tutte le piattaforme “Sultant’ a mia”, nuovo singolo di Rocco Hunt, rapper campano che il grande pubblico ha cominciato ad apprezzare dal 2014 quando si aggiudicò la categoria Nuove Proposte del Festival della Canzone Italiana di Sanremo con “Nu juorno buono”. “Stiamo facendo i numeri del pop pur facendo rap” dichiara soddisfatto ad AGI, il brano infatti in pochi giorni è schizzato in cima alla classifica dei brani più trend di YouTube e ha raccolto quasi 200mila stream su Spotify, “è stata un’esigenza quella di fare qualcosa di musicale, perché sennò davvero mi sarei sentito perso durante la quarantena”. Un sound nuovo per lui, derivante da uno studio ben preciso, la volontà di rinnovarsi “In quest’ultimo anno in cui mi sono chiuso in studio mi sono un po' interrogato su quale potesse essere la mia nuova chiave artistica, il mio nuovo mood, ho trovato terreno fertile in queste nuove contaminazioni che sono molto urban, che uniscono vari mondi tra i quali quelli del pop, della trap, del rap e anche della canzone napoletana, rendo omaggio alle tradizioni della mia terra attraverso questa chiave di lettura nuova”.
Ormai il dialetto napoletano rappresenta qualcosa di più del neomelodico, no?
“La lingua napoletana in questo momento è diventata nazionale, in questo momento il mio brano, che è tutto in napoletano, è primo nelle tendenze di YouTube quindi significa che il genere non è più circoscritto al territorio del sud, alla campagna, a Napoli o a Salerno, ma è un fenomeno che grazie a Gomorra, a Liberato, grazie alle mie esperienze passate, di quando portai a Sanremo un brano tutto in napoletano, siamo arrivati a sdoganare. In questo momento il dialetto è diventato quasi cool”
Ti sei fatto un’idea di come sia potuta avvenire questa rivoluzione?
“Non dimentichiamoci che la musica italiana che viene ascoltata all’estero proviene all’80% dalla musica classica napoletana, non dimentichiamoci che “O’ Sole Mio” e tante altre opere in dialetto napoletano dell’800, dell’inizio del 900, erano il fiore all’occhiello della musica italiana. In questo momento anche se si parla di musica rap, trap e hip hop, il dialetto è ancora più credibile, anche perché il dialetto è anche sinonimo di periferia, di quartiere, di un mondo del quale io sto cercando di farmi portavoce attraverso questo sound urban”
Credi che il rap abbia un po' perso questa sua indole alla denuncia, alla ribellione, quell’attenzione verso i temi legati al sociale?
“Si, ma ognuno fa quello che gli pare, c’è chi porta il suo sound verso il pop per abbracciare più persone ma c’è anche chi mantiene la propria linea rap, ce ne sono tantissime che comunque fanno ancora rap. Adesso la scena rap è un calderone pieno di energia, pieno di belle cose, oggi grazie ai social, grazie al marketing digitale, non c’è più bisogno di dover diventare per forza pop o commerciale per avere una fanbase”
A te cosa viene in mente pensando al rap?
“Io quando penso al rap penso al riscatto sociale che c’è dietro al rap. Quando iniziai, che avevo 12 anni, il rap in qualche modo mi ha distratto dalle dinamiche del mio quartiere, le dinamiche che portavano ad intraprendere altri percorsi di vita. Io attraverso il rap mi sono ovattato, mi sono distratto dall’ambiente che mi circondava e ho tirato dritto per la mia strada che dopo qualche anno per fortuna mi ha dato tantissime soddisfazioni, mi ha permesso di costruirmi una famiglia, di poter crescere un figlio attraverso questa passione, di poter togliere delle soddisfazioni anche ai miei genitori, di poter aiutare la mia famiglia. Io credo che il rap sia una forma di espressione molto molto potente e allo stesso tempo per me indica la rivalsa sociale”