P iotta, senza Er, per farlo capire c’ha anche dovuto intitolare un album, il suo unico cd live, nel 2013. Perché quando non hai nemmeno trent’anni e ti casca addosso una hit da disco di platino come Supercafone poi uscirne con nome e cognome è difficile. Ma la rappresentazione di Piotta, che per la cronaca si chiama Tommaso Zanello, non va ricercata nella suddetta hit. Dà l’impressione di essere un rapper di quelli puri (sembra essere molto puro anche come persona), che prosegue per la sua strada sospinto da quella necessità artistica essenziale per potersi definire, appunto, artista. Lo dimostra ampiamente, qualora non vi foste mai soffermati con attenzione sulla sua discografia, nell’ultimo album uscito da poco e dal titolo “Interno 7”.
Perché il rap in questo è decisamente più crudele degli altri generi. Sfrutta fino all’ultima goccia la tua giovinezza, quando hai ancora l’energia per incazzarti come si deve, per ridere, per rientrare perfettamente nell’equazione che lega il genere al pubblico, per poi tendere a dimenticarti quando cresci e quella rabbia diventa altro, quelle risate si fanno più amare e tu non sei più funzionale allo scopo; e allora si passa al prossimo giovane, al prossimo ragazzino incazzato, perché più sei giovane, incazzato, bizzarro, tatuato, vestito come uno spacciatore con pessimi gusti e più diventi vendibile. Perché va bene la musica, va bene tutto, ma i dischi si devono anche vendere, pardon, essere scaricare, condividere, twittare, linkare e quant'altro è diventato ormai il mercato discografico. Ma Tommaso non è più un ragazzino, certi giochetti se li è lasciati alle spalle da un pezzo, vero esempio di tutto ciò che è indi(e)pendente ma senza quel sinistroide snobismo così tanto in voga, senza necessariamente la ricerca spasmodica di un’etichetta.
Nella nostra intervista partiamo proprio da “Interno 7”, un ottimo disco, più intimista e maturo. Un disco nel quale Zanello riapre un vecchio cassetto e si confronta duramente con ciò che è stato. È il momento di occuparsi di chi è davvero, di mettere da parte Piotta e parlare un po' con Tommaso:
Non ti nego che ero un po' in ansia, essendo un disco un bel po' diverso dai precedenti e anche se uno cresce l’ansia non manca mai
Appunto. Un album che è il più personale della sua carriera. Che parla di lui come mai prima, e come è raro ascoltare nei dischi di altri artisti, troppo impegnati a raccontare l’idea che si sono fatti di se stessi piuttosto che ciò che sono davvero. E questo coraggio è ammirevole.
Che era quello che un po' mi spaventava. Però alla fine le opere autobiografiche ti toccano delle corde per cui diventano per assurdo le più universali. Me ne accorgo perché i primi commenti che mi arrivano non dicono “è orecchiabile” o “l’ho ballato” ma sono quasi delle lettere. Anche se io non ho fatto nulla in tal senso, anzi ,io egoisticamente l’ho fatto per me, perché anch’io avevo necessità di tirare fuori il più possibile
Allora è così che invecchia un rapper?
“Ti risponderei con una battuta dicendoti che nel mio caso un rapper invecchia bene. Forse quello che sono riuscito a fare è crescere con la musica e la cultura che ho abbracciato tanti anni fa. A vent’anni ho fatto dischi giusti per quell’età, quindi magari più ironici, più ballabili, anche più solari o più divertenti. A trent’anni dischi dove ho messo insieme rap e rock, con temi più politici, più sociali, fino ad arrivare a quel 7 Vizi Capitali, la sigla di Suburra, una canzone politica che racconta la Roma di questi ultimi anni, ma anche molto d’atmosfera ed emotiva. Sono ripartito allora da quell’atmosfera notturna, crepuscolare, decidendo una volta per tutte di mettere davanti Tommaso invece che Piotta (che è solo una piccola parte di Tommaso) ma, complice la necessità di mettermi a nudo, di andare più in profondità, la perdita di amici e parenti cari, ho preso coraggio e mi son detto: “Io me la rischio, faccio un disco che la gente non si aspetta, un disco totalmente intimo, emotivo”, più cantautoriale, un disco forse più adatto a un premio che non mi daranno mai avendo una giuria un po' radical chic, ovvero il premio Tenco. Questa è forse la cosa che caratterizza il mio percorso e fa si che tante persone mi seguano fin dalla prima ora pur avendo cambiato abito, da quelli più sgargianti degli inizi fino ad aver quasi ucciso il personaggio e aver lasciato solo quello che c’era dentro, che poi è Tommaso”
Ha ragione. Anche se non sono più arrivate hit come 'Supercafone' (com’è normale che sia in una carriera) il pubblico, unanime, continua a volere un bene immenso a Piotta. Questo perché il pubblico è sempre molto più intuitivo di quello che si pensa, per cui quando incontra un’anima profonda e gentile come la sua scatta automaticamente l’affezione. Tentare di spiegare come mai un disco può funzionare è sempre qualcosa di arduo, che difficilmente può essere tradotto in parole. Un fattore fondamentale è però l’onestà, sentire dall’altra parte l’esigenza reale, artistica, di raccontare qualcosa. Risulterebbe quasi ridicolo fare altrimenti. E questo in Interno 7 è evidente.
“Io ho fatto il disco che sentivo giusto fare in quel momento nella massima libertà. L’ho voluto molto compatto come fosse un concept sul tempo, sulla memoria, sui ricordi, tutti contenuti in questo Interno 7, questo luogo fisico, che è esistito, che è la casa dove sono cresciuto e che è contenitore di mille altre storie. Quindi sì, sarebbe ridicolo alla mia età fare e dire cose che non mi appartengono perché non avrebbe senso, per rispetto di me stesso e del pubblico che mi ascolta.”
Molti non lo sanno ma Supercafone divenne famosa in una versione non originale, rimodellata sulle tematiche dello showbiz dell’epoca. Oggi in una versione contro Salvini cantata con Luca e Paolo a 'Quelli che il calcio', che il Ministro dell’Interno ha poi ricondiviso sui social aizzando così i suoi followers, come accade spesso, contro la Rai, la trasmissione, i conduttori e, chiaramente, Piotta. Allora forse davvero il tempo può influire anche sull’evoluzione di una singola canzone, Supercafone forse, scritta oggi avrebbe quel testo,. Qual è il tuo rapporto con questa canzone che ha segnato l’inizio effettivo della tua carriera? È più 'Supercafona' la società di allora o questa?
“Si, in realtà si è trattato di un gioco fatto in occasione dell’ospitata nel programma, ma il rapporto con quella canzone è di grande amore; è una canzone alla quale sono legato perché è nata per gioco e ormai ha una vita propria, cioè anche quando io non la metto in scaletta, in alcuni concerti succede, oppure provo a metterla nel dimenticatoio, lei si offende e riaffiora prepotentemente. Come in questo caso. In questo mio percorso che parte da Supercafone e arriva fino a Solo per noi e Interno 7, prendendo in mano i due poli, c’è una grande differenza, potrebbe sembrare quasi una schizofrenia, ma in realtà in tutte e due c’è molta onestà; forse la diversità più grande è che nell’Italia che io raccontavo allora quei colori erano chiusi dentro contesti ben precisi, dentro un film, dentro un programma televisivo, infatti quasi tutte le citazioni fanno parte del mondo della musica, del cinema e della tv (Califano, la Carrà, Buzzanca, Verdone, Brega….), vent’anni dopo è successo che tutto questo mondo spettacolare si è riversato nella politica, che oggi fa molto più spettacolo di ieri; c’è chi l’ha capito e sa gestire alla grande la comunicazione in tal senso, c’è chi l’ha capito ma non lo sa fare, c’è chi proprio non l’ha capito. Credo che questa fase post ideologica non sia definibile tale perché la politica c’è e quindi ci sono anche gli ideali, ma al netto dei contenuti c’è chi sa usare meglio i media che ha sottomano, precedentemente Berlusconi per quanto riguarda la televisione, sicuramente Matteo Salvini per quanto riguarda il web. Da questo punto di vista mi sembrava carino prendere il politico più forte da questo punto di vista e declinarlo in questa veste con questo brano, così è nata questa versione unicamente per il programma. Qualcuno ha scritto “il nuovo singolo”, ma la canzone c’ha vent’anni, è una hit assoluta e non ha bisogno di questa versione. Ma effettivamente è un format che si potrebbe rideclinare con tanti fatti, tanti luoghi, tanti nomi, tanti periodi, a volte riguardanti il costume, a volte la politica.“
Ma perché il rap, a parte rari casi (tipo Willie Peyote) non parla più di politica? Perlomeno non nelle canzoni, magari sui social si ma non nei pezzi. È raro trovare qualcuno che faccia una fotografia alla politica, ma anche alla società in genere, in questo senso anche Supercafone diventa molto più impegnata come canzone rispetto ai rap che si producono oggi.
“Beh, alcuni lo dichiarano apertamente, come Sfera Ebbasta, che ha detto che della politica non gli frega niente, qualcuno, come Gemitaiz si è schierato in maniera piuttosto forte. Ghali, volente o nolente, anche per il fatto di esserci, di rappresentare una storia, ha una componente politica diversa dal passato ma ben presente, anche perché parliamo di due artisti che smuovono dei numeri e delle cifre importanti. L’Hip Hop si è allargato tanto come raggio d’azione, sia a livello stilistico che di nomi presenti, quindi è normale che non tutti abbiano le capacità di relazionarsi col mondo della politica, che vuol dire anche essere preparati su alcuni argomenti, perché lanciare un sasso, tanto per, porta a poco se non c’è una credibilità dietro per sostenere il proprio punto di vista. Quindi è impegnativo e qualcuno magari non è interessato a farlo, ed è libero di farlo anche se poi io sono dell’idea che ogni persona prima del proprio lavoro è cittadino quindi in quanto tale dovresti seguire quello che accade intorno a te. È qualcosa che c’è magari meno ma il rap è anche l’unica scena musicale che continua a dire qualcosa su questi argomenti, perché se penso ad altri generi, forse a parte Lo Stato Sociale, sono pochi gli artisti che prendono posizione e si espongono. Complice il fatto che farlo oggi è anche più scomodo, perché i voti e le proiezioni tirano talmente tanto da una parte che qualcuno che magari la pensa in maniera diversa ha paura a esporsi.”
Questo è diventato allora il rap, ma tu ti saresti mai immaginato che avrebbe avuto questa storia, che sarebbe diventato un fenomeno così ampio per quanto riguarda i numeri? Quando hai cominciato tu in effetti era quasi un genere di nicchia.
“Quando abbiamo cominciato noi, sognavamo che il rap potesse arrivare a dei numeri così grandi, sognavamo che potesse diventare una musica famosa che potesse arrivare a tantissimi, forse non pensavamo a così tante persone. Tanto che, ti dirò, se io stessi al liceo oggi non so se sceglierei ancora questo tipo di musica come mia musica, perché la scelta di allora fu dettata anche da due motivi: il primo è l’immediatezza creativa, il rap ti permetteva, anche senza aver studiato troppo la musica, di raccontare te stesso e la tua generazione. L’altro è che era un genere di musica alternativo alla massa, che ci permetteva di muoverci liberamente al di fuori di quei circuiti pop commerciali con tutte le loro regole del caso, che io non ho mai amato, né prima né oggi, tanto da avere la mia etichetta indipendente. Ora che è arrivato a tutti si è anche mescolato logicamente con altre dinamiche molto più da strategia marketing che a me danno un po' fastidio, soprattutto quando poi vedo che la musica, aldilà del genere viene vista non come il fine ultimo, come qualcosa di sacro da elevare, ma magari come un mezzo il cui fine magari sono i due famosi orologi Rolex del non-politico Sfera Ebbasta (che comunque sul palco del Primo Maggio c’era) oppure la Lamborghini osannata e citata in circa nove canzoni su dieci, tanto che io in “Fa na buona jobba” in questo disco dico “meglio il silenzio che un pezzo sulla Lambo”. Qualcuno mi dice che è provocazione, ma la provocazione può esserci la prima volta ma qui parliamo di duemila canzoni che hanno lo stesso leitmotiv. Ciò non è una provocazione, è una contorsione della musica su se stessa, un mulinello che poi nei contenuti tende a portarla a fondo più che elevarla.”
Quindi cosa accadrà, cosa speri accada nel rap? E il genere impone certe tematiche o riflette i voleri del suo pubblico? Droghe pesanti, opulenza, sesso facile… Sono questi i temi che vogliono sentirsi raccontati i ragazzi oggi?
“Credo e spero che alla fine tutto ciò sia talmente tanto che poi si crei, come spesso avviene nei cicli dell’umanità, una risposta che vada in direzione esattamente opposta e contraria e magari sorga lentamente dal basso un filone rinnovato, con nuovi suoni, nuovi stili, che invece sia fortemente sociale e politico. Un po' come vent’anni di talent e reality (che hanno proprio fracassato i coglioni), hanno creato quella scena cosiddetta itpop per chi voleva fare delle canzoni senza esporsi troppo e alla fine, senza trovare sbocco in contesti così beceri come i talent, hanno creato un loro mix tra scena alternativa e scena pop dando vita a questa formula ibrida che tra l’altro a me personalmente piace tanto, perché artisti come Carl Brave, o Franco126 o Frah Quintale o Mezzo Sangue o Rancore (due che dicono belle cose, che mi piacciono parecchio) o Coez (che adoro da quando è piccolo, un artista che mi fa impazzire per come scrive e come canta) o i Coma_Cose…alla fine hanno creato qualcosa di nuovo in questa via che c’era tra alternativo in senso assoluto, i centri sociali e i vent’anni di reality e talent. E tutti loro, ma anche artisti come Jovanotti o Battiato, che è il mio mito assoluto, sono tutti caratterizzati da una continua crescita di loro come persone messa nella musica che hanno proposto, cercando sempre di raccontare loro stessi. La mia formula è questa e credo che sia la più rispettosa nei confronti di una cosa che per me è sacra che è la musica”.