C on Claudio Lolli se ne va via un pezzo importante del cantautorato anni ’70. Il cantautorato impegnato, un cantautorato al quale fu affibbiata la grossa responsabilità di essere voce della più feroce protesta giovanile nella storia del nostro Paese.
Ad ogni verso un messaggio politico, la parola al centro, quando non sarebbe mai stato nemmeno concepito come serio un lavoro che non prevedesse uno schieramento netto nella lotta sociale di quegli anni. Il cantautorato di Guccini, i cui concerti in diretta dalla mitica Osteria della Dame venivano aperti proprio da lui. Che come Guccini, in un certo senso anche più di Guccini, fece della canzone impegnata la sua arte dal primo all’ultimo pezzo.
Nato a Bologna nel 1950 esordisce con Aspettando Godot. Era il 1972, tempo di radio “libere”, e Lolli viene trasmesso a ripetizione. Nel 1976 arriva invece quello che è probabilmente la sua perla Ho visto anche degli zingari felici, Lolli azzarda un sound misto tra il progressive e il jazz; Rolling Stones lo piazzerà al 67esimo posto dei 100 album italiani più belli di sempre.
Arriva poi Disoccupate le strade dai sogni, dove quegli azzardi scarsamente si intonano con le sonorità dell’epoca, in più le voci circa le sue simpatie per le frange di estrema sinistra non aiutano. In una recente intervista a Rockit ha detto “Io non sono un tipo su cui puntare: l’industria naturalmente e giustamente punta sul successo commerciale, io non do nessuna garanzia di quello. Io posso dare una garanzia di scrittura, questa la do. Chi vuole utilizzarla e può utilizzarla in qualche modo, mi si avvicina, chi non ha interesse in questa cosa, ovviamente sta lontano da me”.
Se ne va ad appena 68 anni, dopo aver lottato contro una lunga malattia, Claudio Lolli e ciò che dice pare tristemente vero: non è più tempo per i Claudio Lolli purtroppo. Uno che in quasi 50 anni di carriera ha lasciato la cattedra del liceo solo agli sgoccioli, “quando” diceva “tornavi distrutto da un concerto, parcheggiavi la macchina sotto la scuola, andavi in classe la prima ora a parlare dell’Inferno di Dante e sapevi benissimo cosa dovevi dire. Faticoso ma meraviglioso”.
Decenni, gli ultimi due del ‘900, durante i quali l’attività continua ma senza picchi, soprattutto commerciali. Il 2000 paradossalmente lo riporta sotto i riflettori con La terra, la luna e l’abbondanza su tutti, fino al 2017, quando vince il premio Tenco con l’album Il grande freddo, realizzato grazie ad un crowdfunding di chi voleva, e aveva ragione, riproporlo alla grande platea di pubblico e critica.
Miglior disco in assoluto, questo recita la targa, l’ultima spilla per un combattente del cantautorato italiano, un soldato sempre in prima linea che se ne va lasciando come orme le sue canzoni affinché qualcuno, chissà, riscopra presto il senso che può avere una canzone, un senso che ormai è rimasto perduto, imbambolato dal marasma del mainstream. Un soldato che comunque, può considerare stravinta la sua guerra. “La mia generazione ha vinto” infatti diceva in una delle sue ultime interviste a Repubblica. E lo poteva dire forte.