A dirglielo fu Elton John. Lo guardò negli occhi, con quel sorriso sornione di cui è capace, e sparò: "si capisce che volevi essere uno di noi". Uno di noi. Una rockstar. Uno che sul palco ci saliva per incendiare le folle, non per tenerle a bada. Perché David Zard, senza suonare un solo strumento, sul palco con i Rolling Stones, i Genesis, Madonna, Michael Jackson, c'è salito. Per chiedere alle folle oceaniche di "fare un passo indietro" per non schiacciare i fan delle prime file contro le transenne. Ma anche, c'è da giurarci, per godersi quello spettacolo, che un po' (molto più di un po') era anche opera sua.
David Zard, leggendario impresario musicale, ebreo tripolino arrivato in Italia sull'onda delle persecuzioni del regime di Gheddafi, è morto a Roma, a 75 anni, dopo una lunga malattia. Per intere generazioni è l'uomo che ha portato in Italia il grande rock e il meglio del pop. Da Cat Stevens a Elton John, da Tina Turner a Lou Reed, da Frank Zappa ai Rolling Stones, da Michael Jackson a Madonna. In tempi in cui avere le rockstar negli stadi era tutto tranne che scontato, riuscì a far aprire i cancelli del Flaminio a suon di statuto ("C’era scritto che doveva essere polivalente, dallo sport agli spettacoli, alla religione. Si arresero") e quando la macchina organizzativa dei grandi eventi divenne qualcos'altro, si inventò l'opera rock affidata ai grandi cantautori italiani.
Un esempio su tutti? 'Notre Dame de Paris', scritta da Riccardo Cocciante e presentata in prima mondiale a Parigi. Per quello spettacolo Zard volle realizzare un teatro apposta, il Gran Teatro, che poi sarebbe diventato il 'suo' spazio: uno strano mix di praticità e lusso (un tendone semirigido montato a Tor di Quinto, alla periferia della Capitale). Oppure 'Romeo e Giulietta', altro enorme successo, o 'Tosca - Amore disperato' d Lucio Dalla, 'Dracula' della Pfm, 'Pia de’ Tolomei' di Gianna Nannini.
Ma il suo grande amore è sempre stato il rock dal vivo. Quello che lo portò, ad esempio, a organizzare un tour di 50 date per Ike e Tina Turner salvo mandarli al diavolo quando gli chiesero di procurargli lsd come se piovesse. E che lo spinse a rivoluzionare il rapporto tra musicisti e impresari: "Cambiai i contratti di Madonna e dei Genesis. Dicevano che era l’artista a ingaggiare il promoter. Ma siamo pazzi? Ero io che ingaggiavo loro”.
Il successo, iniziato negli anni '70, fu accompagnato da problemi imprevedibili che però si rivelarono una benedizione. "C’era una malavita che stampava locandine false e annunciava eventi che non erano nemmeno in programma. Truffe vere. Ogni volta venivano da me poliziotti e magistrati per verificare. Parliamo anche di cinque, seimila biglietti venduti per spettacoli fantasma. A quel punto fu la Questura a consigliarmi di stampare i manifesti con scritto sopra 'organizzato da David Zard'. Una sorta di certificazione a garanzia"
Non sempre era facile. Per il secondo concerto italiano di Michael Jackson le vendite non decollavano: "A sei mesi dall'evento avevo venduto solo 4.000 tagliandi su 40mila. Capii che se non avessi inventato qualcosa sarebbe stato un flop. La sparai grossa: conferenza stampa e annuncio che era quasi tutto esaurito. I giornalisti si incuriosirono e ogni giorno, d’accordo con l’ufficio stampa americano, inventai bugie enormi; notizie strane, tipo che era stato noleggiato un aereo russo per trasportare i vestiti di Jackson. I giornali abboccarono. A pochi giorni dall’evento dissi che sarebbero stati messi in vendita gli ultimi 4.000 biglietti rimasti il tal giorno nel tal posto. Ressa, caos: in 6 ore 36 mila tagliandi".
Ad aprile 2006 fu sottoposto a trapianto di fegato. A convincerlo fu Lucio Dalla con un trucco che a Zard piaceva raccontare: "Lucio mi invita nella sua casa di Bologna. Siamo in strada e arriva un tizio. Lo ferma. E, rivolto a me, dice: ‘Vedi lui? Ha avuto i tuoi stessi problemi. Gli hanno trapiantato il fegato. Raccontagli come è andata”. E il tizio: “Operato quattro settimane fa, e sono già così”. Bene, al funerale di Dalla incontro la stessa persona. La fermo: “Oh, come stai?” E lui: “Bene, perché?”. “Come perché? Il fegato intendo”. La risposta mi ha fulminato: “Ma ancora credi a quella storia. Fu tutta una sceneggiata di Lucio”.