S potify è sotto attacco: la più popolare app per ascoltare musica in streaming è accusata di aver inventato a tavolino almeno 50 artisti che appaiono in alcune playlist molto ascoltate. Come Relejar, ad esempio, scaricato 13,4 milioni di volte che su internet semplicemente non esiste. Digitando il suo nome non si ottiene nessun risultato ad eccezione dei rimandi a Spotify. E soprattutto non compare su Youtube. Uguale il 'percorso' dei 2 Inversions, che fanno parte della playlist “Ambient Chill” e che vantano 10,4 milioni di ascolti. In realtà la storia non è del tutto nuova ma è tornata alla ribalta negli ultimi giorni dopo che Spotify ha rigettato le accuse, assicurando di “non aver mai creato falsi artisti”. "Noi paghiamo le royalty sia per le tracce presenti su Spotify che per tutte quelle che sono nelle playlist. Non possediamo diritti, non siamo un'etichetta, paghiamo chi di dovere e non noi stessi", si legge nel comunicato ufficiale.
L'accusa di MBW
L’accusa mossa per la prima volta lo scorso anno dal sito Music Business Worldwide è che Spotify stia lavorando in segreto come etichetta discografica, assicurandosi i diritti delle canzoni in questione con nomi falsi. “Non abbiamo mai inventato artisti e mai lo faremo. E’ una falsità assoluta. Punto”, dichiarò secco all’epoca il portavoce di Spotify.
Il timore delle altre etichette
MBW non è l’unica ad aver alzato il sopracciglio di fronte a questi artisti forse troppo sconosciuti: Mark Mulligan, di Midia research ha dichiarato alla BBC che “Spotify potrebbe aver acquistato musica già esistente da altre società, ma non abbiamo alcuna prova dei pagamenti”. L’ipotesi ha messo sull’attenti le etichette che temono che la società stia giocando sporco e che "si stia per oltrepassare il confine”.