C ari genitori in preda alle crisi mistiche guardando Baglioni in tv, anche questa settimana ci tocca abbandonare quel divano, unica autentica gioia delle nostre vite incastrate tra asocial club e lattine con le ruote che ci scarrozzano in giro come formiche impazzite, senza meta e senza dignità.
Anche oggi ci toccherà mettere da parte la nostra musica con tutti i ricordi impolverati di quelle estati al mare, con il walkman perennemente nelle orecchie (e menomale che la rubrica è destinata ai più grandi, perché esiste tutta una generazione di persone, già maggiorenni, che non ha idea di cosa sia un walkman, come dimostra questo vecchio video di Repubblica); con il mare negli occhi, quando ancora potevamo permetterci il lusso di essere tristi, quasi disperati, per ragioni che adesso nemmeno ricordiamo.
Accantonate tutto in soffitta, tra i rollerblade e quelle vecchie pinne dalla gomma consumata, e scopriamo anche questa settimana un altro tassello del puzzle musicale che disegna la geografia della psiche dei vostri marmocchi. E smettetela anche di chiamarli marmocchi se non volete che la vostra vita si trasformi in un episodio de’ I Robinson.
Dell’artista di questa settimana certamente non sapete praticamente nulla, chi vi scrive non sa praticamente nulla, i vostri figli non sanno praticamente nulla. Nessuno sa praticamente nulla. Il suo nome d’arte è Liberato, è napoletano e sta pian piano rivoluzionando l’idea di canto partenopeo rifacendogli il trucco e rendendolo musicalmente e commercialmente valido e popolare. Ma partiamo dall’inizio.
Chi è Liberato
Il 13 febbraio del 2017 su Youtube viene postato il video della canzone “9 maggio” ed è lì che il fenomeno Liberato vede la luce. Vede la luce per modo di dire perché lui in quel video non c’è, ma le visualizzazioni si accavallano. Il pezzo effettivamente è molto valido ma soprattutto si spoglia, ed era anche ora, di quella cafonaggine folk del canto non napoletano ma, più in generale, dialettale; unendo il tutto a, forse anche grazie a, sonorità moderne e meravigliosamente prodotte.
Il successo, non c’è dubbio, è sospinto anche da quello di Gomorra, la serie tv targata Sky che col succedersi delle stagioni se da un punto di vista strettamente drammaturgico ha cominciato ad annoiare, ad appannarsi nel raccontare una storia che sembra sempre rincorrere la propria coda, da un altro ci propone come colonna sonora questa nuova generazione di rap partenopeo, dal livello altissimo e dalle sonorità a tratti esaltanti.
Da dove viene. Dove va
Liberato viene da lì, Napoli, questa è una delle poche certezze che abbiamo, anzi che ci concede di suo pugno quando risponde per email alla domanda, secca, di Rolling Stone: chi sei? “MA T’PAR’ A ’TTE ’CA FACCIE TUTT’ ‘STI TARANTELL’ P’STA’ TRANQUILL’ E ’PPO’ TE DIC’ A ‘TTE COMME ME CHIAMM’? E YA T’POZZ’ DICERE SUL’ CA ME CHIAMM’ LIBERATO, SO’ NAT’ A NAPULE E FACCIE ‘A MUSECA”. Mi chiamo Liberato, sono nato a Napoli e faccio musica. E che musica aggiungiamo noi. Pochi pezzi, sei, che raccolgono su tutte le piattaforme milioni di visualizzazioni, nonché il consenso unanime di pubblico e critica.
225mila followers invece su Instagram, da dove lancia gli inviti ai suoi rarissimi e, soprattutto ragionatissimi, live. Un solo canale invece seguito da lui, quello della squadra del cuore, il Napoli, ca va san dire. Un artista che in realtà sfugge musicalmente a qualsiasi etichetta: non è rap, non è trap, non è pop…non è in realtà nulla finora ascoltato nel nostro paese. Forse per questo il successo è arrivato con tale velocità, tanto che basta un post dal suddetto suo profilo Instagram, che dice semplicemente “NOVE MAGGIO – NAPOLI – LUNGOMARE – TRAMONTO – GRATIS”, per scatenare il putiferio e far affollare sul posto 20mila ragazzi. Lui arriva con una barca dal mare, sale sul palco immerso nel fumo, fa il suo live, breve, una mezz’oretta scarsa, d’altra parte il repertorio quello è, c’è poco da fare (per fortuna allungato dall’apertura di una band eccezionale che si chiama Nu Guinea), e poi va via.
Nessuno riesce a scorgere alcunché, addosso ha sempre lo stesso giubbotto autogriffato e sul palco stanno in tre. Il magazine 1977 millanta di avere foto del suo volto, ma non è altro che una foto strapixellata di due occhi tra una bandana sulla bocca e un cappuccio sulla testa, roba che Liberato potrebbe essere anche il proprietario del bar dove fate colazione tutti i giorni e non lo riconoscereste. Ma soprattutto, sorge il dubbio che potrebbe addirittura non esistere davvero, ma essere semplicemente un progetto dietro il quale si celano diversi artisti, tra i quali certamente Francesco Lettieri, bravissimo regista dei suoi video nonché di quelli di Calcutta, Thegiornalisti e, insomma, di tutti quegli artisti per i quali i video sono stati parte fondamentale della costruzione del loro successo.
Che c'entra con Calcutta?
Ecco, Calcutta, è lui la prima davvero fantasiosa ipotesi riguardo l’identità di Liberato. I due, chiaro, non c’entrano assolutamente nulla e il fatto che Liberato sia napoletano parrebbe essere fuori di dubbio aldilà delle dichiarazioni che concederà a Rolling Stone, ma quando viene annunciato, come prima uscita ufficiale, come headliner all’edizione 2017 del MiAmi di Milano, sul palco, dinanzi orde di giovani in adorazione, vestito col solito giubbotto con la scritta Liberato sulla schiena, si presenta a sorpresa proprio il cantautore di Latina che canta “9 maggio”.
Ma Calcutta non è che il primo a cui è stata affibbiata la vera identità di Liberato, c’è chi ha ipotizzato si tratti proprio dello stesso Lettieri, ma anche questa è un’ipotesi scartata quasi subito, così come quella che vedrebbe sotto quel cappuccio il volto di Davide Panizza, fondatore dei PopX, che in tanti hanno riconosciuto sul palco al concerto di Napoli, ma che è trentino e musicalmente molto distante dalle sonorità di Liberato; più sensate invece altre strade intraprese da chi proprio a questa idea di voler ascoltare un pezzo senza sapere poi a chi chiedere un selfie non vuole accettarla.
Per esempio quella che porta a Emanuele Cerullo, giovane poeta partenopeo che in molti danno per certo, perlomeno dentro il progetto, data la somiglianza (se non fosse lui ai limiti del plagio) tra alcuni suoi versi in italiano (pubblicati anche sul suo profilo Facebook) e quelli in napoletano dell’anonimo incappucciato. Anche un attore di Gomorra 3, Livio Cori, è stato associato a Liberato, specie dopo l’uscita di Surdat, pezzo vagamente sullo stile del nostro cantante senza nome; anche Clementino, altra icona del rap napoletano, ha detto che scommetterebbe su di lui ma, sempre a Repubblica il diretto interessato ha risposto che no, non è lui “cercate altrove”.
Perché l'anonimato
Interessante nonché poetica l’idea dello youtuber Iutubber Diego che, dopo una chirurgica analisi dei testi ha ipotizzato che Liberato potesse essere un giovane detenuto del carcere minorile di Nisida, nell’arcipelago delle isole Flegree; teoria ispirata proprio dal concerto a Napoli dove l’artista è arrivato dal mare, in gommone, proprio da quella direzione e scortato dalla polizia; e dall’abitudine di Liberato di aprire e chiudere tutti i suoi live con il suono di una sirena che ricorda quella di un carcere quando è in atto un’evasione. Storia un po' più tirata per i capelli ma ugualmente interessante.
Quanto sta aiutando la carriera questo giochino dell’anonimato? Tantissimo ovviamente. Non è un caso che per la data di Milano su Instagram ha potuto scrivere semplicemente “Nove giugno. Milano liberata” e anche lì una miriade di ragazzi si è precipitata alla sua corte.
Ma siamo nel 2018, ci son cresciuti diversi peli ormai sullo stomaco e per quanto l’enigma possa appassionare, alla fine stufa e non staremmo qui a parlarne se quello che davvero ci importa non avesse grande valore, e il prodotto proposto da Liberato ce l’ha. Un prodotto tanto ben fatto quanto importante soprattutto per la città di Napoli che rischiava di sprofondare nel qualunquismo stantio del canto neomelodico, di essere quello e basta, di restare sola o in brutta compagnia ad applaudire se stessa, di perdere credibilità rispetto ad una scena che esiste, eccome, che è viva, eccome, e che ha da offrire molto di più di quello che passa per la testa nell’immaginario comune.
Il fascino oscuro del vintage
Il vintage, ammettiamolo, serve soprattutto a rivalutare qualcosa che con fatica ci eravamo messi alle spalle e dimenticati, è un po' l’operazione dei Thegiornalisti con quell’insopportabile cantautorato voce e pianola anni ’80, Liberato fortunatamente è tutt’altro, non rievoca niente se non se stesso, e anche se stesso, al contrario, proietta nel futuro. Così, senza nemmeno aver bisogno di metterci la faccia, senza nemmeno promozione e social media management, senza ospitate tv. A parlare di sé soltanto la sua musica.
Operazione dal valore (e dal coraggio) immenso, in un mondo dove vieni bombardato anche dalla pubblicità delle merendine. E a noi interessa quello e quello soltanto; la musica, i gossip poi, magari, li leggiamo mentre aspettiamo il nostro turno dal barbiere. Il fatto che i vostri figli, dunque, siano riusciti a farsi trasportare in questo universo partenopeo non è altro che un’ulteriore lezione che avreste da imparare sull’accettare ciò che è diverso, nel dare una possibilità alla vita di stupirvi anche con cose che non vi sareste mai aspettati. Ora dunque, ascoltatelo questo Liberato, e poi passate a qualche brano Heavy Metal, e poi virate verso le divertenti canzonette degli anni ’30 e poi su su fino a un intero album di 50Cents, poi rilassatevi chiudendo gli occhi sulle melodie di Bach, poi cominciate a sudare appresso a qualche compilation house. Poi guardatevi allo specchio, vi ritroverete più stanchi probabilmente, ma credetemi, sarete anche molto più ricchi. Questa è la musica, mettetevelo bene in testa, altrimenti rimettetevi in testa quel walkman e pregate che il tempo si sia dimenticato di smagnetizzare tutte le vostre vecchie cassette.
Questo essenziale manuale è rivolto a quei genitori che non vogliono restare indietro, che vogliono capirci di più del mondo dei loro figli attraverso ciò che, come accade per tutte le generazioni, li crescerà e formerà più di quanto loro, mammà e papà, ne avranno mai capacità e potenzialità. La musica. La loro musica. Prima di partire allacciate bene le cinture, mettete da parte i vostri dischi dei Beatles, Adrianone Celentano, Mina e Battisti, la tv in bianco e nero, Berlinguer, e ogni vostro singolo pregiudizio su quanto tutto ciò che avete vissuto e ascoltato voi fosse infinitamente più “giusto” del loro e, già che ci siete, eliminate per sempre anche l’utilizzo del termine “giusto”, che non credo abbia mai significato alcunché a parte tirare una linea rispetto a ciò che è “sbagliato”. Antitesi che potrebbe contribuire non poco a formare una generazione di iscritti a Casa Pound.