"Matteo Salvini è un grosso fan di mio padre, un fan storico. Ci eravamo anche incontrati. E questo mi fa ben sperare, me lo auguro e mi rincuora perché chi è un fan di mio padre non credo possa fare grandi danni. Non so se ha capito tutto di mio padre, ma da una parte mi auguro che qualche cosa gli sia entrato". Cristiano De André, a vent'anni dalla scomparsa del padre Fabrizio, dopo aver commentato la nota passione del vicepremier per l'opera del genitore, racconta all'Agi quanto sia importante "capire le intersezioni che ci sono nelle sue canzoni e nelle sue parole per arrivare a un senso democratico più alto", soprattutto in un momento storico come questo che lui spiega così: "I governi precedenti ci hanno lasciato tanta di quella spazzatura che una persona con un minimo di decisione in più rispetto a chi governava prima è più ben accetta rispetto a chi non faceva niente. Ma credo - aggiunge - che rimanga lì e non possa sfociare in qualcosa di più deleterio".
Da qualche anno Cristiano De André ha iniziato a portare in tour le canzoni del padre. Dal prossimo 15 gennaio, con data già sold out, riparte da Genova col tour 'De André canta De André - Storia di un impiegato' che lo porterà a Firenze, Parma, Roma, Montebelluna (Treviso), Cesena, Milano e Torino. Dopo aver seguito una strada personale che ha prodotto nove dischi, Cristiano De André ha deciso che era il momento di confrontarsi con le canzoni del padre.
"Portare la sua parola in giro è una missione"
"Ho pensato di prendere il toro per le corna - racconta - perché in qualche modo tutti mi hanno sempre parlato di mio padre, in ogni sfaccettatura, me era un periodo in cui facevo i miei dischi, cercavo la mia identità ed ero ancora acerbo. Avevo bisogno di seguire la mia strada. Poi nel momento in cui ho riarrangiato una parte del tour di 'Anime salve', purtroppo l'ultimo tour di mio padre, ho ricevuto una stima da parte sua così alta che mi sono detto: perché non farlo? Da lì è venuta poi anche una sua richiesta di prendere in mano le sue opere del passato e riportarle a una mia visione. Per questo sono andato avanti, purtroppo dopo la sua mancanza. Se non fosse stato così probabilmente avremmo lavorato insieme".
"Portare una grande poesia, una grande cultura, una grande arte come la sua non può che fare bene a molte persone che forse non lo conoscevano - aggiunge - e attraverso arrangiamenti nuovi si sono avvicinati a lui e portare la sua parola in giro credo sia una buona missione".
I gilet gialli come il '68
Nella vasta discografia di Fabrizio De André, Cristiano ha scelto per questa sua tournée un disco molto particolare, 'Storia di un impiegato', che raccontava la ribellione dei giovani del '68 e il disagio di chi viveva in quel periodo di contraddizioni e scontri. "Ho scelto 'Storia di un impiegato' perché avevo bisogno di riportare questa disaffezione che un tempo si aveva nei confronti del potere, di una generazione che aveva scelto la pace, l'amore, la bellezza dell'anarchia, di chi professava il bisogno di vivere una vita senza guerre, senza dolore, senza privazioni. Mi ritrovo oggi a 50 anni dal '68 a portare questo disco che è ancora molto attuale - aggiunge Cristiano De André - per rinfrescare questo bisogno di disaffezionarci al potere. Il sogno pacifista è rimasto, chi spera in un mondo migliore c'è sempre. La rivolta del '68 oggi la vedo con i gilet gialli, una rivolta per la trasparenza e l'onesta contro una politica corrotta".
Per Cristiano crescere all'ombra del grande genitore non è stato facile, soprattutto dopo aver deciso di fare il suo stesso mestiere. "All'inizio mio padre mi ha scoraggiato perché vedeva per me una strada difficile - racconta - mi aveva visto in un girone infernale in cui la gente avrebbe sempre fatto i paragoni e così è stato. Ma nel momento in cui ho scelto di fare musica perché credevo di poter emozionare e dare qualcosa agli altri sono stato molto deciso. E lui mi ha appoggiato. Dopo 9 dischi affronto le canzoni di mio padre con un bagaglio importante alle spalle - dice ancora Cristiano - quindi anche con la considerazione di fare qualcosa di utile. Oggi mi sento pronto per farlo anche se ci sono paragoni non mi importa. Oltre a questo progetto, l'anno prossimo scriverò un altro album di inediti miei. Cerco di fare un'opera nell'opera per riuscire a trascinare più gente possibile verso di lui, anche chi non ascoltava canzone d'autore".
L'anniversario della morte di De André arriva in un momento storico particolare, in cui il mondo degli emarginati da lui cantato per la maggioranza della popolazione e dei politici è da rifiutare, se non cancellare. "Credo che il fatto che il mondo sia impazzito è perché abbiamo scelto il capitalismo, il consumismo come dogma - dice Cristiano De André - oggi non puoi scegliere. Il capitalismo ci ha allontanato dal dolore degli altri, dalla carità verso il prossimo quindi, come diceva mio padre, il dolore degli altri è sempre un dolore a metà. Speriamo che non scenda da quella soglia".
Il problema, secondo Cristiano, è che "molti ragazzi hanno creduto" a quello che diceva il mondo politico che "professava la legge del consumo con la felicità che si poteva comprare. Molti ragazzi ci hanno creduto e sono finiti in un vuoto esistenziale. Questi poteri che abbiamo avuto fino ad adesso sono stati deleteri. Il momento storico che stiamo vivendo è passeggero - aggiunge - non vedo una soglia di paura in questo pseudo-razzismo che poi finisce lì. Non credo che gli italiani siano così stupidi da ritornare indietro a vecchi fantasmi".
Un padre severissimo (con se stesso)
Infine due ricordi personali. Fabrizio De André in tutte le sue interviste era sempre molto pacato e moderato, anche quando criticava il potere. "In realtà si arrabbiava, eccome - spiega Cristiano - era un guerriero, una persona che di fronte all'ignoranza, alla stupidità, all'arroganza del potere andava fuori di testa. Poi però si placava - aggiunge - e cominciava a scrivere. Però sicuramente partiva sempre da una grande incazzatura". Cristiano rivela infine un aspetto inedito del padre. "Era una persona che non si dava tregua - spiega - e quindi non era mai sicuro di quello che faceva fino all'ultimo. Non si è mai fermato nella ricerca ed era capace di un'autocritica bestiale. Era severissimo con se stesso e anche questo non lo ha portato a godersi la vita come avrebbe voluto fare. Credo che questo sia un rimpianto che aveva dentro di sé".