S e traducessimo in musica l’american dream, ma lo trasportassimo qui da noi in Italia, per rendere al meglio l’idea sarebbe opportuno portare come esempio la storia di Carl Brave. Un metro e 90 di ragazzo, una ben avviata carriera da giocatore di basket (è arrivato anche a calcare i parquet della Serie B), presto votato alla musica, al rap soprattutto. All’inizio è una non carriera, come quella di quasi tutti i rapper italiani e stranieri, prima che il genere conquistasse orecchie ben più numerose di quelle di una ristretta nicchia. Poi l’incontro, nel 2016, con Franco126, mentre la discografia mainstream è già morta, il mercato è ormai già stato ampiamente sbranato dagli indie, e i due insieme danno vita al progetto Carl Brave x Franco126 e all’album “Polaroid”.
Un successo che viene cavalcato insieme per un anno prima di stringersi la mano e prendere ognuno la propria strada. Quella di Carlo Luigi Coraggio, così come risulta all’anagrafe, scorre velocissima dietro il finestrino, il suo primo singolo solista si intitola “Fotografia”, lo canta in featuring con Francesca Michielin e Fabri Fibra, 64 milioni di visualizzazioni su YouTube ad oggi, a un anno dalla pubblicazione, 48 milioni di stream su Spotify e il successo assoluto che gli permette un salto dall’universo della musica indipendente al mainstream, uno dei pochi in realtà ad esserci riuscito in maniera così totale come lui.
Grazie non solo al suo talento, ma anche ad una predisposizione naturale verso la creazione di un personaggio ben definito, ben riconoscibile e che, soprattutto, è amatissimo dal pubblico. Un personaggio talmente forte da diventare protagonista, in versione parodistica, dei video del gruppo comico Le Coliche, diventato famoso come commento simpatico e costante al mondo dell’indie. Video divertenti, ok, ma che fanno sorgere immediatamente la prima domanda, quando lo incontriamo qualche ora prima della sua esibizione all’Indiegeno Fest di Patti, uno dei più importanti eventi musicali dell’estate festivaliera italiana.
Nei video de’ Le Coliche lei viene presentato e collocato come l’ibrido perfetto tra rap, trap e indie, inteso come nuovo cantautorato italiano.
“Io non mi colloco. Faccio un mix di tante cose. Trap e Indie, come dicono loro, cantautorato e pop…ormai etichettare la musica è diventato molto più difficile, sia per gente come me che per altri artisti. Quindi sono contro le etichette, sono solo me stesso”.
Lei è uno dei pochissimi protagonisti di una rivoluzione culturale, appunto il cosiddetto “indie”, che è riuscito a diventare puro mainstream. È cambiata la tua prospettiva rispetto alla musica con questo passaggio?
“È stato un passaggio più tecnico che umano, quindi sono cambiate le mie produzioni, ho fatto ritornelli più aperti, ho fatto strutture più pop, io che ero abituato a fare strutture più rap, ed è questo che ti porta un po' dall’altra parte.”
Ed è una cosa che ha voluto fortemente perché voleva arrivare ad un pubblico più ampio?
“Sì, io volevo arrivare ad un pubblico più ampio ed è venuto un po' da sé. Io ho da sempre queste velleità pop, quindi è stato parte di un percorso che ancora sto facendo”.
Un’altra particolarità di questo segmento di tempo discografico è che il successo arriva molto velocemente. Lei come vive, per esempio, il fatto che canzoni che prima cantava davanti ad un pubblico molto ristretto ora sono cantate da tanta gente ai suoi live?
“Beh, la vivo benissimo. Quello è un po' la fortuna dei nostri tempi. Io ho fatto uscire su YouTube due tracce al mese, contro tutte le regole della discografia, che ogni volta ti vuole far andare piano. Quindi questo vivere fast, smart, ha fatto si che la mia musica potesse esplodere e potesse arrivare più velocemente un po' a tutti”
La paura all’inizio è che potesse essere compreso e apprezzato solo entro i confini di Roma, giusto?
“Sì, all’inizio si pensava che la mia musica potesse essere “Romacentrica”, invece questa velocità abbia coinvolto anche i milanesi, i napoletani, i sardi…”
Questo salto al mainstream l'ha portata anche a collaborare con diversi artisti come Fabri Fibra, Max Gazzè, Elisa…c’è qualcuno di questi con il quale sognava di suonare?
“Tutti. Ma quello che sognavo era Fabri Fibra. Sono megafan da quando sono piccolo, sono cresciuto a pane e Fabri Fibra. Poi è il pezzo che mi ha fatto uscire in assoluto quindi è stata una bomba”.
Si è trovato anche molto bene con Max Gazzè.
“Benissimo. È un uomo d’oro, incredibile. C’ho una soffittina, anche se mo’ voglio cambiarla perché è troppo piccola, ci stai stretto (e ride), dove però c’è la magia. Lui è venuto in soffitta, abbiamo parlato un po' del pezzo, ha fatto pure uno special di basso, lui è un bassista clamoroso; e poi ho scoperto anche un nerd della musica, Max è uno che cerca il suono giusto magari per settimane e non lo facevo così”
C’è qualcosa che riguarda il suo passato che si porta dietro oggi? Magari qualche insegnamento dopo esperienze in locali più piccoli, durante la gavetta…
“Io mi porto dietro l’educazione sportiva che ho appreso giocando a basket, perché mi ha insegnato a lavorare di squadra, cosa che mi è tornata utile, per esempio, quando ho realizzato tutti questi featuring. Io facevo il playmaker, che è un po' simile alla figura del produttore: scegli quel musicista che ti può dare quel certo tipo di chitarra, per un altro tipo di suono scegli un altro se ti serve uno stile diverso. Per esempio per “Fotografia” ho scelto Fabri Fibra, con lui avrei fatto comunque qualsiasi cosa, però era perfetto. Per ”Posso” era Max, era l’abito suo, lo schema perfetto per Max. Questo mi porto tanto dietro”
E adesso cosa vede nel suo futuro? Come vede Carl Brave tra dieci anni?
“Spero sempre di andare sempre più in alto, di fare bella musica, che poi parte tutto da quello: se fai un bel disco, poi fa il tour, inizia l’avventura e arrivano le cose. Però prima devi fare un disco forte”