"La mia serie tv su Moro come un romanzo di Dostoevskij”. Il nuovo progetto di Bellocchio
"La mia serie tv su Moro come un romanzo di Dostoevskij”. Il nuovo progetto di Bellocchio

"La mia serie tv su Moro come un romanzo di Dostoevskij”. Il nuovo progetto di Bellocchio

antonella piperno
Marco Bellocchio
LOIC VENANCE / AFP - Marco Bellocchio
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Marco Bellocchio e Pierfrancesco Favino
 GABRIELE MARICCHIOLO / NURPHOTO - Marco Bellocchio e Pierfrancesco Favino

Come si approda da Buscetta a Moro?

Come la racconterà?

“La serie inizierà con il sequestro e finirà con l’assassinio di Moro. E ciascuna delle sei puntate di 50 minuti sarà dedicata ai protagonisti della vicenda: Francesco Cossiga è un personaggio emblematico, amletico, un uomo pieno di sofferenza che va raccontato sia nel pubblico sia nel privato così vanno approfonditi Paolo VI che cercò vanamente di salvare la vita a Moro, le figure di Adriana Faranda e Valerio Morucci , la moglie dello statista e i figli. Ma non cerco segreti e neanche le curiosità da rivista da quattro soldi. Sarà una serie rispettosa dei vivi e dei morti”.

E’ alla sua prima prova con una serie tv, come la sta affrontando?

“Sto imparando a fronteggiare questa nuova cadenza temporale, a tenere sospeso il discorso tra una puntata e l’altra. Ma non affronto la serie con l’approccio cinematografico, non riesco a trattarla come se fosse un film anche se sono solo sei puntate. Ha più la cadenza di un romanzo a puntate di Dostoevskij”.

Per il cast si rifarà al suo “Buongiorno, notte” dove Roberto Herlitzka giganteggiava nel ruolo di Moro?

“È troppo presto per parlarne”.

Tornando a “Il traditore” si aspettava questo grande successo planetario?

“Non me lo immaginavo. Abbiamo fatto il film con grande onestà mettendo insieme realtà storica e fantasia. La scena in cui Tommaso Buscetta si tiene sempre accanto suo figlio per evitare di essere ucciso me l’ha suggerita Giuseppe Tornatore: alcuni anni fa venne a intervistarmi per un suo documentario raccontandomi che anni prima aveva scritto uno sceneggiato su Buscetta, un progetto poi abbandonato. “Sei siciliano, raccontami qualcosa”, gli dissi e così ho saputo della regola dei mafiosi, che non uccidevano chi aveva sgarrato quando avrebbero potuto mettere a rischio anche la vita delle loro donne e figli. Questo racconto era importante perché dava un senso di implacabilità. Gli storici dicono che la mafia sa aspettare… ora non so se regole siano ancora valide, si rifacevano alla mafia tradizionale”.

Ma un film su un uomo politico contemporaneo come Matteo Salvini la incuriosirebbe?

“Salvini non è una mia ossessione, e poi la storia ha bisogno di decantazione, oggettivazione. Nel passato, quando la tv non aveva la forza documentaristica immediata, c’erano gli instant movie. Ora noi del cinema dovremmo lavorare in profondità, sarei sciocco a fare un film su Salvini”.

A novembre compirà 80 anni, si si sente il grande vecchio del cinema italiano accanto al suo coetaneo Pupi Avati?

“Non ho nessuna bandiera da alzare, adesso ci sono altre generazioni che rendono questo momento cinematografico italiano molto vivace”.

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