G ià coperto di premi e incassi da record, unico film italiano in concorso a Cannes, venduto in 80 paesi e avviato al galoppo verso la candidatura italica all’Oscar, Il traditore di Marco Bellocchio intanto è approdato anche all' Ischia Global Film & Music Fest, dove il fondatore della kermesse Pascal Vicedomini ha premiato il regista e i suoi tre coproduttori italici, Beppe Caschetto, Simone Gattoni e Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, quest’ultimo “sicuro che il film su Tommaso Buscetta sia l’unico in Italia ad avere numeri e muscoli necessari per la corsa all’Oscar. Non a caso negli Usa è stato comprato dalla Sony, che lo distribuirà in 35 delle maggiori città americane, dettaglio non banale e che darà anche una strategica spinta mediatica al film”.
In attesa di capire cosa succederà, intanto Bellocchio sta lavorando alla sua prima serie tv “Esterno, notte”, prodotta da Fremantle, dove torna ad occuparsi di Aldo Moro, con uno sguardo sulle vicende politiche, sociali e familiari che hanno accompagnato il suo sequestro, visione complementare a quella di “Buongiorno, notte”, il suo film del 2013 concentrato sugli spazi chiusi della prigionia.
La genesi di “Esterno, notte” le cui riprese cominceranno nella primavera del 2020 e di cui il regista firma anche la sceneggiatura con Stefano Bises, Nicola Lusuardi e Giovanni Bianconi, ha raccontato Bellocchio a Ischia, ha un link finanziar-creativo con “Il traditore”.
Come si approda da Buscetta a Moro?
“Tutti i film subiscono delle battute d’arresto dovute ai costi e alla pausa non è sfuggito neanche Il traditore, costato 10 milioni di euro. L’idea di “Esterno, notte” è nato proprio in una di queste attese. Mi è venuta nei giorni del quarantennale dell’uccisione di Moro, leggendo i vari articoli e vedendo una sua foto in giacca e cravatta in mezzo ai bambini in una colonia di Maccarese. Vorrei raccontare la strage di via Fani e l’assassinio attraverso la vita esterna di quei giorni, soffermandomi sulle manovre politiche e su quello che accadeva quando lui era nelle mani delle Brigate rosse. La difficoltà sta nel combinare fantasia e realtà, ma per me è essenziale raccontare la verità storica”.
Come la racconterà?
“La serie inizierà con il sequestro e finirà con l’assassinio di Moro. E ciascuna delle sei puntate di 50 minuti sarà dedicata ai protagonisti della vicenda: Francesco Cossiga è un personaggio emblematico, amletico, un uomo pieno di sofferenza che va raccontato sia nel pubblico sia nel privato così vanno approfonditi Paolo VI che cercò vanamente di salvare la vita a Moro, le figure di Adriana Faranda e Valerio Morucci , la moglie dello statista e i figli. Ma non cerco segreti e neanche le curiosità da rivista da quattro soldi. Sarà una serie rispettosa dei vivi e dei morti”.
E’ alla sua prima prova con una serie tv, come la sta affrontando?
“Sto imparando a fronteggiare questa nuova cadenza temporale, a tenere sospeso il discorso tra una puntata e l’altra. Ma non affronto la serie con l’approccio cinematografico, non riesco a trattarla come se fosse un film anche se sono solo sei puntate. Ha più la cadenza di un romanzo a puntate di Dostoevskij”.
Per il cast si rifarà al suo “Buongiorno, notte” dove Roberto Herlitzka giganteggiava nel ruolo di Moro?
“È troppo presto per parlarne”.
Tornando a “Il traditore” si aspettava questo grande successo planetario?
“Non me lo immaginavo. Abbiamo fatto il film con grande onestà mettendo insieme realtà storica e fantasia. La scena in cui Tommaso Buscetta si tiene sempre accanto suo figlio per evitare di essere ucciso me l’ha suggerita Giuseppe Tornatore: alcuni anni fa venne a intervistarmi per un suo documentario raccontandomi che anni prima aveva scritto uno sceneggiato su Buscetta, un progetto poi abbandonato. “Sei siciliano, raccontami qualcosa”, gli dissi e così ho saputo della regola dei mafiosi, che non uccidevano chi aveva sgarrato quando avrebbero potuto mettere a rischio anche la vita delle loro donne e figli. Questo racconto era importante perché dava un senso di implacabilità. Gli storici dicono che la mafia sa aspettare… ora non so se regole siano ancora valide, si rifacevano alla mafia tradizionale”.
Ma un film su un uomo politico contemporaneo come Matteo Salvini la incuriosirebbe?
“Salvini non è una mia ossessione, e poi la storia ha bisogno di decantazione, oggettivazione. Nel passato, quando la tv non aveva la forza documentaristica immediata, c’erano gli instant movie. Ora noi del cinema dovremmo lavorare in profondità, sarei sciocco a fare un film su Salvini”.
A novembre compirà 80 anni, si si sente il grande vecchio del cinema italiano accanto al suo coetaneo Pupi Avati?
“Non ho nessuna bandiera da alzare, adesso ci sono altre generazioni che rendono questo momento cinematografico italiano molto vivace”.