I l gladiatore Russell Crowe è tornato a Roma. L’attore e regista, insignito lo scorso ottobre del titolo di ambasciatore di Roma nel mondo dal Sindaco Roberto Gualtieri, è stato nuovamente nella Capitale per esibirsi insieme al suo gruppo, gli Indoor Garden Party, e per sostenere la candidatura di Roma per l’Expo 2030 con una serie di iniziative organizzate da Alice nella Città e Assessorato Grandi Eventi del Comune di Roma. Domenica 25 giugno ha cantato e suonato con la sua band, affiancato dai The Gentlemen Barbers e dalla cantante irlandese Lorrain O’Reilly, sul palco del Teatro Romano all’interno degli iconici Studi Cinematografici di Cinecittà.
La voce. Tutto è nella sua voce. Quando Russell Crowe fa il suo ingresso sul palco del Teatro Romano di Cinecittà, dagli spalti - come prevedibile - si alza un grido unanime. Non troppi gli spettatori (700 si è detto, ma sembrano qualcosa in meno), tra loro par di vedere Matteo Salvini con Francesca Verdini, in prima fila. Gli Indoor Garden Party intonano brani blues, lui semplicemente entra in scena, prende un bicchiere, brinda al suo pubblico e inizia a cantare. Una canzone, due, tre. Poi: “Buonasera Roma, buonasera romani. Finalmente sono qui, nella città dove il mio cuore batte più forte”.
Era questo che aspettava, Cinecittà. “Grazie mille per essere venuti”, dice ancora: ci proverà, nel corso del concerto, ad alternare frasi in italiano a discorsi più lunghi in inglese (“Qual è il vostro livello di inglese? Alzate le mani”, si informa l’attore australiano col suo pubblico). È tutto un blues, il concerto organizzato dal festival Alice nella città insieme all’Assessorato Grandi Eventi del Comune di Roma, tutto un gioco sulle note profondissime della voce di Crowe, quelle toccate da Massimo Decimo Meridio, quelle che anche in conferenza stampa - assicuriamo - andavano a segno come fosse dento un film.
Degli Studi Cinematografici, così come della candidatura romana a Expo 2030, Russell Crowe si è fatto sponsor: “Io sono ambasciatore di Roma nel mondo”, si è presentato, prima di parlare di musica, e di cinema (“L’intelligenza artificiale nella scrittura e nella sceneggiatura - ha detto - è un rischio per la nostra creatività. Siamo a un punto di passaggio pericoloso: se prende il sopravvento le nostre vite saranno più povere”).
E di solidarietà: “Venite a Bologna - ha invitato, per il 27 - il ricavato va agli alluvionati, voglio un sold out per loro”. E poi, certo, della sua Roma: che lo ama più di casa sua “mi trattano come fossi uno zio - ha detto all’AGI - ed è al mille per cento per e grazie a Il Gladiatore. Ma è una cosa che trascende la fama e la notorietà: non è soltanto perché sono famoso, ma perché c’è un riconoscimento e un apprezzamento da parte della gente di quelle che sono le qualità artistiche. È molto bello, perché quello che ricevo qui in Italia in termini di accoglienza, di affetto e di riconoscimento delle mie qualità artistiche non lo ricevo in Australia”. Roma, Roma: tornerà più volte, nelle parole di Crowe, sul palco come in conferenza stampa, dove l’attore ha confermato la sua fama di uomo diretto: “Nell’ultimo film che è uscito in Italia ho visto che è stato completamente ri-doppiato, eppure i primi trenta minuti li avevo girati tutti in italiano”, ha detto, con non troppo velata critica alla resa italiana del pur discusso “L’esorcista del Papa”. Roma lo applaude, e lo accoglie: sulle note di Take this Waltz la voce di Crowe ricalca i toni di Leonard Cohen, perché è su quei bassi che viaggia; per poi rialzarsi quando presenta “mio foglio, Charlie Crowe”, e correggersi “figlio, figlio”, che “quando ho fatto quel film, Il Gladiatore (piccola ovazione, ndr.) non era ancora vivo”.
Un concerto che è una festa di famiglia, senza le pretese di un evento, per uno che ci ha abituati ai kolossal: ancora in italiano invita il pubblico a scendere dagli spalti, a “prendere il cellulare, accendere la torcia, e quando io alzo le mie mano, tu alzi la tua”. Ha ragione, Russell Crowe: Il Gladiatore che “avrebbe avuto la sua vendetta, in questa vita o nell’altra”, ha lasciato il posto a uno di famiglia, per i romani. Ed è un amore corrisposto. A chi gli chiede se avrà una parte nel previsto sequel del film di Ridley Scott a cui il suo nome e il suo volto sono legati, risponde con stizza: “Chiunque nel dannato mondo del cinema sa che quel film è in produzione. E che io non ci sarò”.
Ma per l’Arena dove il suo personaggio ha combattuto conserva un indiscutibile affetto: raccogliendo una velata provocazione, a scommettere ancora di più sulla candidatura di Roma per Expo 2030, che pure ha promosso come ambasciatore della città nel mondo, tornando in caso di vittoria a suonare a Roma, nel “suo” Colosseo per festeggiare l’eventuale successo, ha risposto come la rockstar che è. “Hai idea - ha detto guardando il giornalista - quanto diamine sarò vecchio, nel 2030? Mi auguro di farlo prima: vorrei suonare al Colosseo l’anno prossimo”. Il Gladiatore è tornato, e non pare voglia star lontano da casa a lungo.