AGI - “Non pe’ fa la superba...ma al paese mio mi chiamano Giovannona Coscialunga però Robertuzzo me l’ha fatto cambiare: dice che Cocò mi rende più fine”. Così una straripante Edwige Fenech nel pieno della sua esuberanza fisica 50 anni fa, doppiata per l’occasione dalla grandissima Rita Savagnone, faceva il suo ingresso sui grandi schermi in un film che avrebbe fatto la storia (con la ‘s’ minuscola) del cinema italiano: ‘Giovannona Coscialunga disonorata con onore’, diretto da Sergio Martino, con Vittorio Caprioli, Pippo Franco, Adriana Facchetti, Riccardo Garrone.
Un anno dopo essere stata protagonista di ‘Quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta nuda e tutta calda’ di Mariano Laurenti turbando i sonni di milioni di italiani, il 12 aprile 1973 recitò in un film che avrebbe segnato un’epoca, ‘Giovannona Coscialunga disonorata con onore’. Una pellicola che riscosse unanimi consensi, anche dai critici tanto contrari negli anni ‘70 a tutto ciò che non era impegno (meglio se politico) o cultura.
Bella, prosperosa, sensualissima, Edwige Fenech, vero nome Edwige Sfenek, nata il 24 dicembre 1948 a Bône, in Algeria, da mamma siciliana e padre maltese, era già un’attrice famosa in Italia. Non solo perché, diretta da Sergio Martino, fratello del suo compagno, il produttore Luciano Martino, aveva interpretato già tre film di tutt’altro genere – i thriller da ‘Lo strano vizio della signora Wardh’, ‘Tutti i colori del buio’ e ‘Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave’ – ma anche perché nel 1972 si era mostrata in tutto il suo splendore in ‘Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda’, film che ha dato il via al genere commedia sexy all’italiana, (Walter Veltroni in veste di critico disse che la Fenech aveva “aiutato a sconfiggere risorgenti integralismi bacchettoni e a dislocare verso equilibri più avanzati il comune senso del pudore”).
La Fenech abbandona il thriller
Per la sua seconda volta in un film leggero, erotico, molto diverso da quelli che si vedevano allora, la Fenech fu diretta per la quarta volta da Sergio Martino, grande regista di film di genere (oltre ai thriller con la Fenech, ha diretto il ‘poliziottesco’ ‘Milano trema: la polizia vuole giustizia’ e poi avrebbe frequentato il genere horror con ‘La montagna del dio cannibale’ e ‘L'isola degli uomini pesce’). Sulla scia del successo dell’Ubalda, la produzione (il fratello del regista) decise di dare un titolo provocatorio, allusivo, un po’ volgare, che non corrispondeva alla natura del film. Come ha raccontato il regista, il film doveva intitolarsi ‘Un grosso affare per un piccolo industriale’, poi ci si mise Lina Wertmuller che riscosse un grande successo con ‘Mimi metallurgico ferito nell'onore’ e i titoli chilometrici divennero di moda.
La storia è quella di un industriale del Norditalia, il commendator La Noce (Gigi Ballista) , proprietario di un caseificio in Sicilia che finisce sotto inchiesta per inquinamento ambientale. Cerca l’aiuto di un politico siciliano, l’onorevole Pedicò (Vittorio Caprioli), noto sessuomane con l'abitudine di insidiare donne sposate. Un po’ come Alberto Sordi in ‘La mia signora’ con Silvana Mangano, anche La Noce-Ballista non intende servirsi di sua moglie (Danika La Loggia), che tra l'altro appare inizialmente come una rigida bigotta di scarsa avvenenza, per cui incarica il proprio segretario Albertini (Pippo Franco) di sostituirla con una prostituta.
Il ragionier Albertini arruola la bella Cocò (Edwige Fenech), una donna dal fisico prorompente ma dall'eloquio dialettale impossibile, incontrata per strada. Superata l'iniziale diffidenza di La Noce, viene organizzato il "casuale" incontro della falsa moglie del commendatore con l'onorevole Pedicò durante un viaggio in vagone letto diretto in Sicilia, dove si ritrovano tutti i protagonisti della storia, in una girandola da commedia degli equivoci.
L'avvento della commedia sexy
‘Giovannona Coscialunga disonorata con onore’ è un film che ha dato il via a un genere (non particolarmente amato dai critici) che vedrà per diversi lustri, oltre alla Fenech, impegnate una squadra di attrici bellissime e provocanti che segneranno gli anni ’70 e ’80 della commedia sexy: Barbara Bouchet, Anna Maria Rizzoli, Nadia Cassini, Carmen Russo, Lory Del Santo, Gloria Guida. A differenza delle pellicole che verranno, però, il film di Sergio Martino ha un livello di qualità superiore anche se appare un po’ eccessiva la tesi dello stesso regista, secondo cui è “un antesignano in chiave comica di ‘Pretty Woman’”. Secondo Martino la storia “è praticamente identica, solo che nel film americano a interpretare il ruolo di Pippo Franco c'è Richard Gere”.
Il film è stato distribuito in Italia a partire dal 12 aprile 1973 e in Francia dall'11 ottobre 1978, ma ha avuto una distribuzione (e un successo) in tutto il mondo dove è stato proiettato col titolo ‘Giovannona Long-Thigh’. Tra le curiosità legate a questa pellicola c’è la citazione fatta da Paolo Villaggio in ‘Il secondo tragico Fantozzi’ quando il ragioniere Ugo si ribella al professor Guidobaldo Maria Riccardelli che impone ai suoi impiegati la ripetuta visione di vecchi film d'autore (e della ‘Corazzata Potemkin’ storpiata nel film in ‘Kotiomkin’) e lo costringe a “guardare ininterrottamente ‘Giovannona Coscialunga’, ‘L'esorciccio’ e ‘La polizia s'incazza’…"
Quel botta e risposta tra Tarantino e Wertmuller
Un’ultima considerazione, inevitabile, va fatta a pochi giorni dalla visita trionfale di Quentin Tarantino a Milano, accolto da Elisabetta Sgarbi e da migliaia di fan in delirio per il suo libro ‘Cinema speculation’ alla Milanesiana. Il grande cineasta americano ha una vera e propria passione per ‘Giovannona Coscialunga disonorata con onore’ (e per gli altri film definiti B-movie della Fenech), al punto che qualche anno fa proprio il film di Martino fu oggetto dell’attacco di Lina Wertmuller al regista di ‘Pulp Fiction’ colpevole, a suo dire, di aver criticato il cinema italiano senza conoscerlo.
“ 'Attacca la nostra produzione, lui che conosce solo ‘Giovannona Coscialunga’ e poco altro: ma come si permette? Noi siamo l'Italia, lui chi si crede di essere?", sbottò la vulcanica regista. Questa è stata l’ennesima prova di quanto il film di Martino fosse entrato e facesse parte del patrimonio culturale del nostro Paese. Nel bene e nel male. Che poi, forse, è la stessa cosa.