AGI - “Gli altri” è il film diretto da Daniele Salvo in concorso al BiFest (Bari International Film e Tv Festival), tratto dal romanzo di Michele Prisco. L'opera con protagonisti Ida di Benedetto, Peppe Servillo, Lorenzo Parrotto, è, come ha spiegato all'AGI il regista, “una sorta di thriller psicologico, interiore, basato sull’idea dell’illusione della nostra identità che è una costruzione che facciamo e che dipende da un nome, un'etichetta costruita artificialmente”.
La protagonista, aggiunge Salvo “è Amelia Jandoli, una donna che vive sola nel cuore di una Napoli degli anni '50. Una Napoli che abbiamo reso più metafisica, astratta. I muri di questa città sono simili a una mappa segreta da decifrare. La vita di questa donna è piuttosto insignificante, chiusa nel cerchio di poche abitudini, fatta di malinconia e solitudine. Alla sua porta, un giorno bussa uno sconosciuto e le dice che il fratello moribondo sta invocando il suo nome, vuole parlarle. Solo che Amelia non ha fratelli... Ma la donna, incuriosita, va nella casa dell'uomo morente e appena giunta si accorge che è già deceduto. È guardata con gran sospetto dalla famiglia: è una donna adulta mentre l'uomo ha solo 25 anni. Ma Amelia si accorge soprattutto che il giovane è identico allo sconosciuto che è venuto a chiamarla. Esce sconvolta da quella casa e da lì, inizia un viaggio alla ricerca di indizi. E’ una storia lineare, Prisco l’ha scritta con grandissima sapienza. È una operazione interessante dal punto di vista letterario che mi è piaciuto molto realizzare”.
Le riprese del film “sono state effettuate tutte in Puglia – prosegue Salvo – ho cercato location molto particolari come conventi abbandonati, chiese diroccate e vicoli. Abbiamo trovato nel cuore di un paesino, una casa che era chiusa dal 1952 e mai più riaperta, con gli oggetti lasciati lì e i mobili. Sembrava un set cinematografico. Non abbiamo girato a Napoli, all’inizio c’era questa idea, poi è prevalso quella di astrarre tutto usando strade semideserte, per simboleggiare la solitudine di questa donna”.
La passione per il teatro antico
Veniamo ai protagonisti: “Ida Di Benedetto è Amelia Jandoli, e poi, ci sono Peppe Servillo, Gioia Spaziani, Lorenzo Parrotto, Gianfranco Gallo. Abbiamo poi lavorato con attori pugliesi”, dice ancora il regista che dopo questa esperienza, sarà a Siracusa con il progetto de “La Pace” di Aristofane, al Teatro Greco a giugno, dal 9 al 23. “Una iniziativa molto bella – commenta il regista – è un testo che non è mai stato rappresentato nei cento anni della Fondazione Inda. È una prima assoluta. Lo spettacolo poi andrà anche al Festival di Napoli. È un allestimento con 55 attori totalmente visionario. Del resto, Aristofane era un po' il Tim Burton dell’epoca. 'La Pace', è un testo pieno di intenzioni, fantasia, musica, canto. Ma ha una stretta connessione con l’attualità. È stato scelto soprattutto per questo, vista la situazione mondiale, dove rischiamo a ogni passo una guerra nucleare. La mia è una passione per il teatro antico, ho fatto a Siracusa Edipo Re e altro e anche all’estero dove per esempio, ho rappresentato le Baccanti. La tragedia greca mi interessa particolarmente e mi piace portarla in scena, come la commedia del resto. Il lavoro sui testi antichi è affascinante, come lo è quella di renderli contemporanei anche se le tragedie, già lo sono rispetto alla nostra attualità".
E poi c'è il teatro greco: "Si - prosegue - quello di Siracusa è un luogo straordinario. È lui, il teatro, che comanda. Il teatro greco era il centro della città, era anche una cura per le genti. A Siracusa si ha ancora questa sensazione: quando viene rappresentato qualcosa al teatro, lo sa tutta la città che diventa partecipe, viene a vedere".
Perché le piattaforme penalizzano il grande schermo
E a proposito di teatro, in occasione della recente giornata internazionale, i dati ci dicono che il settore è in ripresa mentre il cinema in sala paga il fenomeno delle piattaforme: “Il teatro è una necessità per le persone che hanno bisogno di un atto creativo - spiega ancora il regista e attore - vogliono sentire la presenza dell’attore, vederlo da vicino. Per il cinema invece, purtroppo questa cosa delle piattaforme, seppur bella, è penalizzante perché induce a restare a casa. E magari da soli, sul divano. In questo caso, il cinema non è certo atto collettivo. È normale invece che dopo una pandemia che ci ha confinati in casa, ci sia questa voglia del ritorno al collettivo, al teatro quindi. Le persone hanno voglia di tornare a qualcosa che li unisce. La tragedia greca, per esempio era un fatto collettivo”.
Meglio la regia o la recitazione? “Sicuramente meglio stare dietro la macchina da presa – risponde Daniele Salvo – perché si compie un atto creativo. Non ho la smania di recitare, di apparire, di essere. Preferisco dirigere sia in teatro che al cinema. Un sogno nel cassetto? Ne ho tanti, sia sul cinema che sul teatro. Ma è bello avere sogni nel cassetto e progetti anche se non si realizzano. Magari un domani un film tutto mio, scritto e diretto. L’arte è arricchimento spirituale dell’uomo e oggi viviamo in momento di desacralizzazione e di vuoto interiore, mi piacerebbe fare un film su questo cioè, sulla necessità di questo. Mi piacerebbe un cinema interiore, dai contenuti umani - conclude - che metta in luce la fragilità dell’uomo contemporaneo in un modo convincente".