AGI - Il cinema è fatto di immagini iconiche, di memorabilia che ne fanno a pieno merito una forma d'arte. La più giovane e la più controversa, ma senza dubbio un'arte. A partire dai suoi esordi, da quella Hollywood nata nel deserto californiano ad opera di un gruppo di folli e sognatori che avevano utilizzato l'invenzione di Edison che i fratelli Lumière brevettarono dando vita a qualcosa che non capirono e che avrebbe cambiato per sempre il mondo.
Tra le immagini che appartengono alla memoria collettiva, ce n'è una in bianco e nero che risale al 1933 quando fece il suo debutto in sala negli Usa (e anni dopo anche nel resto del mondo) 'King Kong'. È l'immagine del mostro che si arrampica sull’Empire State Building - allora edificio più alto di New York - che si prende delicatamente cura della bionda attrice Ann Darrowd (Fay Wray) di cui è innamorato e che affronta i biplani che lo uccideranno.
È il celebre epilogo del film prodotto e diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack la cui prima si tenne il 2 marzo 1933, un film che si avvaleva di effetti speciali di Willis O’Brien ancora primitivi ma già convincenti.
La rappresentazione di Kong (il titolo di 'king', re, c'è solo nel titolo) è avvenuta sia attraverso un pupazzetto alto qualche decina di centimetri, sia con oggetti che rispettavano la grandezza naturale del gigantesco gorilla, come mani lunghe più di 2 metri o la testa del tragico finale. La sua fama non è affidata, però, soltanto all’alta efficienza degli effetti speciali ma a due fattori che sfuggirono a molti critici del tempo: nella rivisitazione dell'antico tema della Bella e la Bestia, prevale il carattere onirico e il simbolismo erotico che rendono questo film aperto a diverse chiavi d'interpretazione.
Nato da un soggetto del giallista Edgar Wallace che poi firmò il pessimo romanzo desunto dalla sceneggiatura di James Creelman e Ruth Rose, 'King Kong' negli Usa ebbe una versione colorizzata. Il film fu seguito da 'Il figlio di King Kong' diretto dallo stesso Shoedsack, uscito con scarso successo otto mesi dopo il primo, e da molte imitazioni e sequel oltre a due remake, quello del '76 con Jeff Bridges e Jessica Lange e del 2005 di Peter Jackson con Andy Serkins nei panni del gigantesco gorilla.
Nel film del 1933 Kong è un enorme scimmione che vive nell'Isola del Teschio dove viene venerato come un dio dagli indigeni. Quando una compagnia cinematografica diretta da Carl Denham (Robert Armstrong) arriva sull'isola Kong si innamora di Ann Darrow, giovane attrice bionda, che i nativi gli offrono in sacrificio e la porta con sé all'interno dell'isola per tentare farne la sua compagna. All'inizio lei tenta di scappare, ma durante la fuga viene aggredita da mostri preistorici (una sorta di pterosauri, dinosauri volanti) dai quali la salverà il gorilla.
n seguito Ann viene liberata da Jack Driscoll (Bruce Cabot) e l'enorme gorilla viene catturato dalla troupe cinematografica per essere mostrato nei circhi come attrazione.
rrivato quindi negli Stati Uniti ed esposto come un animale da circo a New York, Kong riesce a liberarsi e semina il panico in tutta la città alla ricerca di Ann. Una volta trovata, con l'idea di salvarla la porta sull'Empire State Building che gli ricorda la montagna dell'isola su cui viveva. Sui cieli di New York l'aviazione militare Usa manda contro Kong i suoi aerei - nel 1933 erano dei biplani - che iniziano a mitragliare. Kong mette in salvo la ragazza facendo scudo alle pallottole col suo corpo; riesce ad abbattere un aereo ma poi viene ucciso e precipita dal grattacielo.
Nella scena finale, davanti al suo corpo ormai senza vita, al poliziotto che gli dice che gli aeroplani ce l'hanno fatta a uccidere il mostro, Carl Denham controbatte con questa frase: "No, non sono stati loro... È stata la bellezza che ha sconfitto la Bestia".