"Non ricordo niente della Rolling Thunder Revue. Era tanto tempo fa. Non ero nemmeno nato". Bob Dylan guarda diritto nella macchina da presa e sorride, mentre dice la bugia con cui la inizia l'attesissimo "Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story by Martin Scorsese" sul mitico tour di "Mr. Tamburino" del 1975, da ieri in esclusiva su Netflix.
Un'operazione spiazzante, forse geniale, che ricorda l'Orson Welles di "F for Fake": il film del grande regista di capolavori come "Taxi Driver" e "Toro Scatenato" - nonché di un altro film sul "menestrello di Duluth", lo straordinario "No Direction Home" del 2005 - è pieno di falsi storici. Anzi, in un certo senso è costruito sui falsi, peraltro con la piena complicità dello stesso Dylan.
È la rivista Rolling Stone ad elencare le invenzioni più incredibili, ma elaborate con tanta perizia da sembrare assolutamente vere: innanzitutto, di sicuro colui che fu il vate di una generazione con pezzi come "Blowing in the Wind" e "masters of War" non è mai stato ad un concerto dei Kiss, e non è guardando il mascheratissimo gruppo di hard rock che decise di dipingersi il volto di bianco durante la tournèe del Rolling Thunder.
Dopodiché, non è assolutamente vero che - come racconta lei stessa nel film - Sharon Stone sia andata a vedere un concerto di Dylan, da adolescente, insieme alla madre, oltretutto con una maglietta dei Kiss. E, ancora, non è mai esistito il fantomatico filmmaker Stefan van Dorp che avrebbe girato una parte delle riprese originarie del tour: il signore che appare nel doc di Scorsese è interpretato da tale Martin von Haselberg.
E infine: la storia del deputato Jack Tanner che avrebbo fatto ricorso a rapporti diretti con Jimmy Carter per assistere ad uno dei concerti della Rolling Thunder Revue è completamente inventata. Il nome Tanner è preso in prestito da un film di Robert Altman ed è un attore, Michael Murphy, a vestirne i panni. Più o meno tutto il resto del film è vero.
Va detto che la Rolling Thunder Revue è uno degli eventi più leggendari della storia di Dylan e forse del rock. Non a caso, come racconta lui stesso, l'idea era di ispirarsi alla Commedia dell'arte, mettendo in piedi una specie di compagnia girovaga per piccole città e campus universitari.
Siamo nel 1975, e proprio mentre è al lavoro per quello che si rivelerà uno dei suoi album più venduti "Desire", Dylan decide di mettere insieme la sua carovana di star e di storie. Al debutto, il 30 ottobre 1975 al War Memorial Auditorium di Plymouth sul palco ci sono 13 musicisti, tra questi nomi del calibro di Ramblin' Jack Elliott, Joan Baez, T-Bone Burnett, Roger McGuinn, Mick Ronson e Ronee Blakley.
Ma non finisce qui: lo spettacolo, che arriva a durare anche quattro ore, è un continuo work in progress, musicisti arrivano, si aggregano per qualche data, alle volte solo per qualche ora, e poi proseguono per la loro strada. In più si aggiungono alla carovana grandi personaggi della cultura occidentale moderna come il poeta Allen Ginsberg, la collega Joni Mitchell, il drammaturgo Sam Shepard, una giovanissima e appassionata Patti Smith.
Maschere, una quantità spropositata di cappelli, il contatto con il pubblico, le esibizioni piccole località di provincia, con pochissimo pubblico davanti. Non stupisce che un maestro come Scorsese sia rimasto affascinato da questa bizzarra leggenda musicale, in cui confluiscono veri sciamani indiani, visite presso la tomba di Jack Kerouac e una chiacchierata a quattro'occhi con Rubin "Hurricane" Carter, il pugile ingiustamente accusato di omicidio che proprio l'omonima canzone di Bob aiutò a scagionare.
Vero, falso, vero: non stupisce affatto che Dylan - accusato da sempre di furti letterari e musicali d'ogni genere - abbia accettato la "sfida-fake" di Scorsese: "È solo quando uno porta una maschera che ti dice la verità", ripete il vecchio Bob davanti alla cinepresa dell'amico Martin.