Intervista della redazione di Eniday
Telecronista Rai degli incontri della nazionale dal 1986 al 2002, Bruno Pizzul è una delle voci più amate dagli appassionati di calcio. In questa intervista ci parla della sorprendente doppia vittoria degli Azzurri di Conte a Euro 2016 e riavvolge il nastro di una vita passata a raccontare le gesta dello sport più bello del mondo. Tra Gianni Brera e Dino Zoff, le partite a biliardo coi giocatori e quella volta che Toldo, contro l’Olanda agli Europei del 2000, parò tutti i rigori..
Da calciatore di buon livello (centromediano) a voce inconfondibile del calcio italiano. Bruno Pizzul, è vero che è diventato giornalista quasi per caso?
In effetti non avevo mai pensato di diventare giornalista sportivo, anzi quando giocavo avevo maturato una certa antipatia per la categoria dei cronisti che, forse a giusta ragione, erano tutt‘altro che teneri quando parlavano delle mie prestazioni. Poi, più che altro per curiosità, partecipai a un concorso Rai per programmisti, dopo un paio di colloqui e prove scritte mi spostarono a un contemporaneo concorso per radio telecronisti. Qualche altra prova, l‘inserimento in un corso di preparazione professionale a Roma (con me c‘erano Bruno Vespa, Paolo Frajese, Angela Buttiglione e poi Ferretti, Martino e tanti altri) e, alla fine, con mia grande sorpresa, l‘assunzione.
Di Nazionali ne ha raccontate tante. Questa di Antonio Conte a Euro2016 come le sembra?
Non è che la critica sia stata troppo tenera con gli azzurri alla vigilia di questi Europei. Ma dopo le prime due vittorie con Belgio e Svezia, i giudizi sono stati rettificati in maniera piuttosto netta. La nostra resta una nazionale che va valutata partita dopo partita, ma che, grazie anche a un tecnico esigente come Conte, garantisce sempre attenzione tattica e determinazione agonistica. Di sicuro gli altri ci temono, anche perché siamo particolarmente abili a far giocar male tutti. Non abbiamo in campo dei fenomeni, ma non sono nemmeno così sprovveduti come qualcuno temeva. Arrivare alle semifinali sarebbe tanta roba.
L’energia di questi ragazzi è coinvolgente. Basta l’entusiasmo per arrivare lontano in questo Europeo o c’è bisogno di qualcosa in più?
Energia, entusiasmo, maturità tattica sono tutte doti importanti, così come il talento e la gran classe. Ma alla fine il calcio, come diceva Gianni Brera, resta un grande mistero agonistico, non sempre vince il più bravo o il più meritevole. La buona sorte (Eupalla sempre secondo Brera) è spesso fondamentale.
Se fosse lei la voce di questi Europei, come racconterebbe questa Nazionale “operaia” e di grande personalità?
Fossi ancora coinvolto nel racconto delle vicende agonistiche degli azzurri di Conte, penso che sottolineerei proprio la volontà, l‘attenzione, lo spirito di squadra che traspare in maniera molto netta. Ma non si può preparare teoricamente una telecronaca, la si costruisce sull‘onda delle emozioni che la gara regala di volta in volta.
Saper raccontare le partite trasformando la cronaca in una storia è (stata) una delle sue grandi doti. Oggi più che mai questo modo di fare giornalismo è apprezzato e ricercato. Si creano storie in grado di catturare l’attenzione del lettore. Qual è il suo consiglio per fare ancora oggi del “buon” giornalismo?
Credo che anche il racconto di un evento sportivo, in particolare di una gara di calcio, possa e debba seguire gli schemi generali dell‘affabulazione. È una storia che scivola via quasi in modo rituale, con i giocatori che diventano i protagonisti di una vicenda sempre uguale e sempre diversa nella quale assume rilievo fondamentale la trasmissione di emozioni. Non credo comunque sia possibile fissare delle regole che possano valere per tutti coloro che raccontano lo sport; l‘importante è che ciascuno mantenga una propria spontaneità di linguaggio e di approccio passionale, senza scivolare nella tentazione di imitare qualche modello.
Bruno Pizzul e Giovanni Trapattoni nello spot Fiat ai Mondiale brasiliani del 2014
Il linguaggio delle telecronache calcistiche è molto cambiato in questi anni, c’è più enfasi, molti tecnicismi..
Sì, è cambiato il linguaggio perché è cambiato il calcio e soprattutto il linguaggio delle immagini. Oggi i registi hanno a propria disposizione un numero elevato di telecamere che utilizzano con una grammatica di ripresa cinematografica, curano l‘aspetto spettacolare, confezionano una “good television” con un rincorrersi continuo di immagini, il replay, la bella ragazza in tribuna, la luna piena, i volti dei tifosi, il labiale, la topica arbitrale. La sensazione è che non sempre sia agevole seguire la coralità della manovra, rotta da questo susseguirsi di immagini. Ne consegue che anche il linguaggio delle parole risulta necessariamente spezzato, quasi ansioso. Questione di mode.
“Tutto molto bello” è una delle sue frasi storiche, quando e com’è nata questa espressione?
Non ho mai preconfezionato frasi che poi mi hanno attribuito come mie creazioni. Forse poi ne abusavo e quindi sono state individuate come una sorta di mia firma lessicale. Credo che in concomitanza di una serie di belle giocate o di gesti commendevoli quel tutto molto bello fosse abbastanza efficace.
Ci racconta il suo ricordo più bello degli Europei passati?
Ci sono stati, naturalmente, tanti momenti belli e altri meno lieti. Direi però che, per il grande pathos che ne derivò, la partita con l‘Olanda padrona di casa e Toldo a parare un numero incredibile di rigori ha avuto davvero un grande impatto emotivo.
E qualche aneddoto vissuto in tante avventure come “voce” degli Azzurri?
Beh, una volta i rapporti con i giocatori erano più diretti e cordiali, si stava di più assieme, si giocava a carte, a biliardo, ci si prendeva per i fondelli. Tra i ricordi più divertenti, uno Zoff particolarmente arrabbiato con me e con Capello alla fine di una partita a Zagabria, con il grande Dino Commissario Tecnico, Capello ed io incaricati della telecronaca e commento. Evidentemente avevamo detto qualcosa di poco gradito agli amici di Zoff che avevano visto la partita in TV e gli avevano subito telefonato. Dino, sapendo che eravamo arrivati fin lì in macchina e che saremmo, al ritorno in Friuli, passati per il suo paese (posto proprio tra quello di Capello e il mio) ci garantì che ci avrebbero aspettato con intenti tutt‘altro che amichevoli. Naturalmente non c‘era nessuno in agguato e arrivammo a casa sani e salvi. Ci ridiamo ancora su, perché Dino era davvero arrabbiato e si sentiva tradito da due amici.
Cos’è il calcio per Bruno Pizzul?
Il calcio è stato un compagno della mia vita, il sogno del ragazzino, la sostanza del lavoro, la consapevole certezza che sta perdendo molto della sua originaria valenza perché contaminato da troppi fattori negativi extra tecnici. Il dispiacere di verificare che è un calcio che ha perso la capacità di sorridere, che si è come incattivito. Del resto, essendo un fenomeno sociale, non può non risentire della brutture, delle contraddizioni, della maleducazione tipiche della società in cui si manifesta. Ma che non diventi un comodo alibi per dire che queste negatività sono ineluttabili, un po’ tutte le componenti del mondo del calcio dovrebbero attivarsi per restituirgli gli ormai smarriti valori. Utopia…? (AGI)