di Giancarlo Strocchia
Sullo sfondo della competizione americana per accaparrarsi la nomination in vista delle prossime presidenziali di novembre, non mancano le riflessioni sulla situazione energetica del paese. Ancora i candidati non hanno preso di petto la questione anche se le posizioni sono andate via via delineandosi nel corso di questi mesi come riportato nell’articolo Rinnovabili versus Fossili: questa è la partita ma è sotto gli occhi della comunità internazionale il fatto che gli Stati Uniti abbiano modificato la propria fisionomia energetica, passando nell’arco di un periodo di tempo piuttosto breve dall’essere un paese importatore al raggiungimento non solo dell’autonomia energetica ma dell’inaspettato ruolo di paese potenzialmente esportatore, nonostante una legislazione che ancora impedisce la commercializzazione su vasta scala delle riserve petrolifere, ad esempio.
Un esempio emblematico di quanto affermato riguarda due stati, tra gli altri, che si apprestano a vivere la competizione elettorale delle primarie. Si tratta del North Dakota e del New Mexico, raccontati nell’articolo di Molly Moore Due pilastri dell’Energia Usa. Nel 2014, il North Dakota era il secondo più grande Stato produttore di petrolio degli USA e rappresentava più del 12,5% della produzione totale statunitense di greggio. La produzione dello Stato si è impennata del 251% tra il 2010 e il 2014, principalmente grazie alla trivellazione orizzontale e alla fratturazione idraulica nel giacimento di Bakken Shale nell’area del Williston Basin, Oggi la produzione di petrolio e di gas nello Stato misura otto volte quella degli anni ’80, l’industria è molto più affermata e i metodi di produzione sono estremamente più efficaci. Posto al confine meridionale degli Stati Uniti, il New Mexico è il più grande produttore petrolifero tra gli otto Stati delle Montagne Rocciose. Il Permian Basin, che si trova nell’area a sud-est del New Mexico e a ovest del Texas, è una delle regioni più importanti dal punto di vista della produzione di petrolio del Paese, secondo l’Energy Information Administration (EIA) statunitense. Il New Mexico è anche uno dei primi 10 Stati produttori di gas negli USA. L’anno scorso, il New Mexico ha prodotto 145,5 milioni di barili di greggio, segnando il massimo storico per lo Stato e un aumento del 18% rispetto al 2014.
E mentre gli Stati Uniti attendono di sapere chi sarà il nuovo inquilino della White House piccoli ma sensibili segnali di ripresa riguardano le quotazione del greggio che in aprile hanno fatto segnare un aumento intorno al 20%. Un dato confortante sottolineato da Demostene Floros, nell’articolo intitolato Il gioco della domanda e dell’offerta che ricorda come il mese da poco trascorso sia stato caratterizzato dal più alto incremento dei prezzi del greggio in un anno; rispetto all’inizio del 2016, l’impennata si è conclusa all’80%. Questa tendenza rialzista ha caratterizzato costantemente l’intero mese, sia prima del vertice di Doha del 17 aprile che dopo l’esito incerto del summit dei produttori di petrolio tenutosi nella capitale del Qatar. Floros illustra come la domanda mondiale di petrolio sia aumentata da 93,58 mbg nel 1° trimestre del 2015 a 95,48 mbg nel 1° trimestre del 2016. Tale incremento si assesterà intorno a 1,2 mbg nel 2016, al di sotto degli 1,8 mbg del 2015. In conclusione, il mercato petrolifero è contrassegnato da una continua crescita della domanda e da un calo dell’offerta da parte dei paesi non OPEC (ad eccezione della Federazione Russa). La contrazione dell’offerta su base annua è stata stimata a 690 mila barili al giorno nel mese di marzo e si prevede che sarà inferiore a 700 mila barili al giorno nel 2016. In uno scenario prudente, il surplus sul mercato petrolifero diminuirà da 1,5 mbg nella prima metà del 2016 a 0,2 mbg nella seconda metà dell’anno.