Roma - Gli interessi energetici possono avvicinare e dare vita a nuove sinergie così come possono invece allontanare e creare tensioni. Nel primo caso un esempio può essere un avvicinamento sempre più concreto dell’Iran all’Europa. Come evidenzia Giuseppe Acconcia nel suo articolo L'Europa torna a fare affari con l'Iran, sono tanti i segnali di una crescente sinergia: “le delegazioni di imprenditori europei e la visita del premier italiano Matteo Renzi a Teheran hanno riportato l'Iran al centro della politica estera europea. Francia, Germania e Italia sono in prima fila per riconquistare il primato degli investimenti nel Paese. Le multinazionali europee da mesi siglano contratti miliardari con le autorità locali. E se il riavvicinamento con gli Stati Uniti non si è ancora realizzato soprattutto a causa della resistenza dei Repubblicani, il Presidente moderato Hassan Rouhani, forte della vittoria elettorale alle parlamentari dello scorso febbraio, ha deciso di partire proprio da Roma nel suo recente viaggio in Europa. Non solo, le autorità russe hanno iniziato la consegna dei primi sistemi di difesa anti-aerea S-300 all'Iran”. Nonostante la fine delle sanzioni internazionali contro Teheran, però, le criticità sono ancora presenti. Prima di tutto molte banche sono ancora restie a sbloccare i beni congelati in seguito alle misure imposte contro il programma nucleare. E poi Teheran ha un altro fronte su cui far valere la propria posizione: resta, infatti, ancora aperta la partita dei livelli di produzione petrolifera con l'Arabia Saudita in sede Opec che “potrebbe annullare gli effetti positivi in politica economica della lenta fine delle sanzioni internazionali e limitare lo spettro di riforme auspicate dai moderati”.
Spostandoci nel nordest, invece, ci sono giochi di forza tra paesi dovuti alle prospettive energetiche e geopolitiche dei “vertical pipe”, ossia gasdotti verticali, che non attraversano orizzontalmente i paesi bensì da nord a sud. Ce ne parla su Abo Evgeny Utkin nell’articolo intitolato Dalla Polonia alla Russia, i giochi di forza,
in cui racconta i possibili retroscena legati alla costruzione del Baltic Pipe, che porterebbe il gas dalla Norvegia alla Polonia e del Nord Stream 2, che passerebbe dalla Russia alla Germania. Scrive Utkin che “ad aprile la polacca PGNiG ha puntato sul rigassificatore e sul gasdotto Baltic Pipe, dando così una seconda vita al progetto, nato nel 2001: si tratta del gasdotto di 230 km, che potrebbe connettere Danimarca e Polonia tramite il mare, e dalla capacità di 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Rimane questo da capire: è un progetto reale o solo una mossa contro l’avanzamento del gasdotto Nord Stream 2?” Per il Nord Stream 2, che prevede la realizzazione di 2 condotte con una capacità totale di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno, Gazprom deterrebbe il 50% del progetto, mentre BASF, E.ON, Engie, OMV, Shell il 10% ciascuno. Il progetto preoccupa diversi paesi, inclusi la Polonia e l’Ucraina, che temono di perdere un ruolo con l’aumento dell’influenza russa sul Continente. Anche l’Ucraina è molto preoccupata: se il progetto dovesse essere portato a termine, “diventerebbe obsoleta come paese di transito del gas russo verso l’Europa”.