di Giancarlo Strocchia
Chi sono i grandi paesi produttori di petrolio e gas? Qual è il loro assetto socio-economico e quali sono i progetti di sviluppo del settore energetico? Abo.net tradizionalmente dedica a queste realtà estesi reportage che non solo illustrano la storia e le vicende politiche che hanno caratterizzato il cammino di crescita di queste nazioni, ma offrono anche ampio spazio a dati e informazioni di carattere economico, energetico e demografico, a cui si accompagna un vasto corredo di immagini. Recentemente Abo.net ha rivolto il proprio obiettivo su due stati molto diversi tra di loro, ma accomunati dalla centralità economica che il settore dell’estrazione petrolifera riveste e dalle conseguenze che il recente e sensibile ribasso delle quotazioni di greggio ha prodotto sui processi di crescita. Norvegia e Venezuela si collocano a latitudini molto diverse, distanziati da migliaia di chilometri, immerse in ambienti socio-economici molto diversi, differenti anche nelle abitudini e negli atteggiamenti delle rispettive popolazioni.
La Norvegia è, insieme all’Islanda, tra i pochi Paesi contrari all’integrazione nell’UE. Nel 1994, infatti, a seguito di un referendum in cui con il 52% delle preferenze prevalsero i “no”, Oslo decise di non aderire all’Unione, ritenendo il processo di integrazione lesivo degli interessi strategici nazionali sia sotto il profilo economico che energetico. Una decisione che viene da lontano: già nel 1972, infatti, un altro referendum aveva sancito la non adesione all’Europa unita. La mancata integrazione a livello politico non ha però impedito alla Norvegia di avere rapporti di natura soprattutto economica con l’Europa, tanto che Oslo ha comunque aderito all’Associazione Europea di Libero Commercio (EFTA) e all’Area Economica Europea (EEA) – sebbene questi accordi non ricomprendano asset strategici come i giacimenti di gas e petrolio, le installazioni off-shore e la pesca. L’economia norvegese può contare su un mix di materie prime e produzioni che la inquadrano come uno dei Paesi più solidi del continente. Oltre a risorse come l’idroelettrico, la pesca, le foreste e le miniere, particolarmente importante è il settore petrolifero che nel Paese ha creato il 9% dei posti di lavoro e contribuisce per il 18,6% del prodotto interno lordo, pesando per il 46% sull’export nazionale. Oggi, superato il picco di produzione nel 2001 a 3.4 milioni di barili al giorno, la produzione di petrolio nel paese è scesa fino agli 1.5 milioni di barili al giorno dall'inizio del 2016.
Anche il gas riveste un ruolo di primo piano nel settore energetico norvegese. Secondo il Norwegian Petroleum Directorate le riserve di questa risorsa ammonterebbero a 1,85mila miliardi di metri cubi. Un dato che vede il Paese scandinavo come terzo esportatore a livello mondiale. La produzione è più che raddoppiata in quindici anni, passando da 55 miliardi di metri cubi prodotti nel 2000 agli oltre 115 prodotti nel 2015.
Il Venezuela sta vivendo con difficoltà l’era che potremmo definire del “dopo Chavez”. Il paese ha visto la nascita, nel 2013, del governo Maduro, uomo scelto personalmente dal presidente prima della sua scomparsa. Nei 3 anni di governo, il presidente Maduro ha dovuto fronteggiare una crisi economica molto difficile, con un Pil che ha registrato forti cali sino al 9%.
L’origine delle anomalie dell’economia venezuelana risale agli anni precedenti, collegata soprattutto al ridotto sostegno all’imprenditoria privata, al controllo sui prezzi e all’eccesso di spesa pubblica. Nonostante il primato energetico che lo contraddistingue, il Venezuela ha sempre avuto grosse difficoltà di “amministrazione” di questa fortuna; la scarsa diversificazione economica, basata esclusivamente sul settore petrolifero e improntata su una estesa politica assistenziale, ha comportato l’assenza di una politica per le esportazioni e la mancanza di investimenti nei principali comparti produttivi. Oggi si stima che il Venezuela detenga ancora le maggiori risorse di petrolio convenzionale dell’America Latina, con 41 miliardi di barili, più del doppio rispetto al Brasile e quasi il triplo rispetto al Messico. Nonostante questo, ancora oggi si registra un calo della produzione e si calcola che negli ultimi dieci anni la diminuzione sia stata di circa mezzo milione di barili al giorno. Due grandi sfide, quelle intraprese da Oslo e Caracas, su piani e premesse diverse per molti aspetti, ma accomunate dall’impegno di giocare di contropiede nei confronti della crisi, con mezzi e strutture socio-politiche per lo più agli antipodi, ma con l’obiettivo comune di sostenere una ripresa del settore energetico nella prospettiva, comunque, di una maggiore diversificazione economica. (AGI)