di Giancarlo Strocchia
Gli equilibri che governano il mercato energetico mondiale sono in costante evoluzione. Come ribadito più volte negli ultimi tempi, il ridimensionamento delle quotazioni petrolifere sta inducendo molti paesi a rivedere le proprie politiche di investimento nel settore, oltre a procedere ad una riesame dei sussidi e dei sostegni al welfare anche in funzione di una riduzione delle risorse a disposizione. Nello stesso tempo nuovi protagonisti si affacciano sulle piazze energetiche internazionali. Due casi emblematici, in questo senso, sono rappresentati, rispettivamente, dalla Federazione Russa e dal Libano. Nell’attenta analisi compiuta da Fabio Squillante nell’articolo intitolato Orizzonti difficili per Mosca si osserva come il Paese “continui a subire gli effetti del rallentamento dell’economia globale, dei bassi prezzi petroliferi e delle sanzioni occidentali. Nel 2015 la crisi ha ridotto il Pil del paese del 3,7 per cento, provocando la chiusure di decine di migliaia d’imprese, un’impennata della disoccupazione, il crollo del rublo ed il conseguente aumento dell’inflazione.” L’abilità geopolitica del presidente Putin non basta, secondo l’avviso dell’autore, a risolvere questi problemi che causano crescente malcontento nell’opinione pubblica. Come se non bastasse, si assiste alla recrudescenza dello storico confronto tra armeni ed azeri nel Karabakh, regione dell’Azerbaigian popolata da armeni e da essi controllata ormai da quasi un quarto di secolo. Grazie ai proventi del petrolio ed al sostegno di Turchia e Stati Uniti, l’Azerbaigian ha goduto in questi anni di una vigorosa crescita economica che ha consentito al governo, tra l’altro, di decuplicare in dieci anni il bilancio della difesa, fino a portarlo agli attuali 4,8 miliardi di dollari.
L’Armenia è invece un paese povero che, nonostante la costante tensione al confine con l’Azerbaigian, ha un bilancio della difesa che non arriva a 450 milioni di dollari. Come osserva Squillante “per Mosca, un arretramento degli armeni nel Caucaso rappresenterebbe un grande rischio geopolitico ed è ragionevole credere che Mosca farà il possibile per evitarlo, pur mantenendo formalmente la sua tradizionale neutralità tra le due repubbliche caucasiche”. Spostandosi più a sud, verso il bacino del Mediterraneo, nell’area orientale, il Libano sta predisponendo tutti gli strumenti adeguati, sia tecnici che normativi, per procedere allo sfruttament di quelle che si prospettano come ingenti riserva di gas. Come illustra Bassam Fattouh, direttore dell’Oxford Institute for Energy Studies, “la zona economica esclusiva (ZEE) libanese fa parte del bacino di Levante, che si stima possedere sino a 122 trilioni di piedi cubi (pari a 3,45 trilioni di metri cubi) di riserve recuperabili di gas naturale, oltre a circa 1,7 miliardi di barili di petrolio recuperabile. Il fondale marino libanese potrebbe contenere un potenziale significativo di idrocarburi inizialmente stimato in 30 trilioni di piedi cubi di gas naturale (pari a circa 850 miliardi di metri cubi) e 660 milioni di barili di petrolio”. Il Libano ha adottato la Offshore Petroleum Resources Law nell’agosto del 2010 (Legge 132), a cui ha fatto seguito la definizione della Lebanese Petroleum Administration (LPA).
La nomina dei membri della LPA e l’adozione dei decreti in questione hanno spianato la strada all’avvio della tornata di prequalifica all’inizio del 2013. “La risposta all’invito aperto dal governo a manifestare interesse – osserva Fattouh - ha evidenziato agli investitori internazionali l’attrattiva commerciale delle risorse energetiche offshore potenziali del Libano. Circa 50 compagnie internazionali hanno dichiarato il proprio interesse, incluse diverse importanti società petrolifere quali Total, Eni, Shell, Statoil, Chevron e ExxonMobil. Sono state qualificate 46 compagnie, inclusi 12 operatori". Come spiega Fattouh, comunque, “le prospettive libanesi restano altamente incerte. I ritardi nel processo decisionale e una capacità amministrativa ancora inadeguata danno adito a dubbi sul concreto avvio della produzione prevista per la metà del prossimo decennio. Il protrarsi dell’assenza di un nuovo presidente e la formazione, nel febbraio 2014, di un governo composto da fazioni politiche rivali, hanno paralizzato per ora il processo decisionale". (AGI)