Il dato è certo, scientifico: se vogliamo salvare la nostra Terra e il suo ambiente dobbiamo ridurre drasticamente il consumo di carne a tavola. Questo significa un forte impatto sulla filiera produttiva: minor numero di allevamenti, minor numero di animali in circolazione, minori pascoli e minor necessità anche di produrre mangime ad hoc per allevarli, minor consumo e spreco di energia e, dunque, minor inquinamento ambientale.
Come è risaputo, infatti, l’industria della carne e del latte è responsabile del 14% delle emissioni di anidride carbonica. Anche gli allevamenti intensivi sono contestati da gran parte dei consumatori, che però per il momento non rinunciano ad alimentarsi con la carne.
Secondo i calcoli dello scrittore Jonathan Safran Foer, che si dedica al tema dell’alimentazione da alcuni anni, contenuti a pag. 93 del suo fortunatissimo Possiamo salvare il mondo prima di cena, sottotitolo Perché il clima siamo noi, “a livello globale, l’umanità sfrutta il 59% di tutta la terra coltivabile per crescere foraggio per il bestiame”.
Ma non basta, perché anche “un terzo di tutta l’acqua potabile usata dall’uomo è destinata al bestiame, mentre un trentesimo appena è utilizzata dalle case”; pochi dati ancora, in un libro che ne contiene parecchi altri, ma essenziali per inquadrare il problema: “Il 70% degli antibiotici prodotti nel mondo sono utilizzati nelle case”, “il 60% di tutti i mammiferi presenti sulla Terra sono animali allevarti a scopi alimentari”; infine, si può leggere ancora nel testo di Safran Foer, “sul pianeta ci sono all’incirca trenta animali allevati per ogni essere umano”.
Tutta un'altra carne
“Non si può ancora affermare con certezza che la società porterà a compimento la svolta annunciata dagli esperti, ma se lo facesse potremmo evitare di emettere quantità enormi di gas serra. Milioni di animali da allevamento soffrirebbero meno. E un esiguo numero di multinazionali agricole, ancora sconosciute ai più, diventerebbe più potente che mai” si può invece leggere in un’inchiesta del tedesco Die Zeit (titolo: Cosa viene dopo la carne?) pubblicato anche come storia di copertina dal settimanale Internazionale lo scorso 1 novembre, invece sotto il titolo Tutta un’altra carne.
Persino territori immensi come l’Amazzonia verrebbero risparmiati dalla deforestazione e dagli incendi, che vengono oggi appiccati dolosamente per far spazio a terreni da adibire poi alle coltivazioni necessarie per sfamare gli animali e anche per incrementare i pascoli.
Così le forti e generalizzate preoccupazioni per il clima sembra stiano accelerando il cambiamento. “Tanto che la produzione di carne così come la conosciamo è già al capolinea” sostiene la società di consulenza internazionale A. T. Kearney, come si legge sempre nel servizio proposto dal settimanale tedesco. Nel senso che tra circa vent’anni, ovvero nel 2040, “solo il 40 per cento della carne venduta in tutto il mondo proverrà da animali vivi”. La stragrande maggioranza di bistecche, wurstel e polpette sarà invece “sostituita da imitazioni vegetali o da carne sintetica prodotta dall’industria biotecnologica”.
Tuttavia, “la svolta è già cominciata”, sostiene il settimanale tedesco. Ed è una svolta prevalentemente vegetariana. Che ribalta totalmente la prospettiva sin qui conosciuta. Qualche esempio? Aziende come la Beyond Meat, tanto per citarne una, si legge ancora nell’articolo, “producono hamburger a partire da una purea di piselli”.
“Questo sostituto della carne è sempre più diffuso nei ristoranti e nelle mense di tutto il mondo. Negli Stati Uniti la catena di fast food Burger King vende l’Impossible Whopper, realizzato con proteine vegetali. Quasi ogni settimana aziende alimentari come la Nestlé mettono in commercio nuovi sostituti vegetali della carne, come l’Incredible Hack. Dai nomi dei prodotti sembra quasi che le aziende stesse sperino in un miracolo. E la prossima generazione di sostituti della carne sarà ancora più futuristica”.
Il futuro (sintetico) della carne
Ma non è tutto. “Rehovot – scrive Die Welt – è un sobborgo nella periferia di Tel Aviv, in Israele. Al terzo piano di un edificio nei pressi della stazione c’è un frigorifero. Al suo interno sono adagiate, in vasetti trasparenti, le bistecche di domani. Sono ancora invisibili all’occhio, composte solo di cellule staminali bovine. Ma se si mettono in un brodo di coltura, maturano fino a diventare un pezzetto di carne”. Spiega la biologa Neta Lavon che “la nostra tecnologia permette di coltivare un tessuto tridimensionale fatto di cellule, di muscoli, grassi, tessuti connettivi e vasi sanguigni”. E Lavon è la responsabile della ricerca alla Aleph Farms, una startup impegnata nello sviluppo della carne sintetica.
“In teoria, dalle cellule staminali di una singola mucca possiamo produrre tutta la carne che vogliamo”, dice la scienziata. “A dicembre del 2018 – informa il settimanale tedesco – l’Aleph Farms ha fatto cucinare i primi prototipi di bistecca, ciascuno un po’ più piccolo di una carta di credito e spesso mezzo centimetro, e li ha serviti ai suoi ospiti. Lavon ha brindato con un bicchiere di vino rosso.
“Produrre una piccola bistecca costa appena 50 dollari, spiega Lavon. Un enorme passo avanti se si pensa che il primo hamburger artificiale, presentato dallo scienziato olandese Mark Post nel 2013, costava 250mila dollari. L’hamburger, che era fatto solo di fibre muscolari, era stato finanziato da Sergey Brin, cofondatore di Google. All’epoca una bistecca sintetica era fantascienza. Figuriamoci una che costasse 50 dollari. E la produzione su scala industriale potrebbe far scendere il prezzo ancora di più”.
L’azienda ha in programma di rifornire i primi ristoranti fra tre anni e mezzo, quando la produzione funzionerà a pieno regime e le autorità per la sicurezza alimentare avranno concesso l’autorizzazione. E quando sarà chiaro quale nome dovrà comparire sul menù. Carne di laboratorio? Carne etica? Carne coltivata? O qualcosa di completamente diverso? Ma perché questi prodotti possano imporsi sul mercato è necessaria la complicità dei consumatori, senza i quali la “rivoluzione nel piatto” per contrastare la produzione e il consumo di carne che nuoce all’ambiente non è possibile. Insomma, quel che è raccontato dall’articolo è solo un piccolo assaggio di quello che potrà essere il nostro non lontano futuro alimentare.
Numeri e alternative
Anche perché oggi, al di là di tutto, nel consumo di carne si inserisce un fattore psicologico e sociale rilevante: la possibilità di consumare carne più volte la settimana costituisce un indice percepito di aver superato una certa soglia di povertà o di essere entrati in un’area di benessere che ci fa sentire mediamente abbienti. La carne è pertanto “simbolo di amorevolezza, di sincerità e tradizioni locali, ma anche di lusso”.
“La carne unisce le generazioni, e piace sempre, ieri come oggi”, chiosa Die Welt, che aggiunge anche: “Certo, l’ambiente e il clima starebbero meglio se si mangiasse meno carne. Ma questo argomento basta a convincere i carnivori? Non è forse vero che ogni partito politico che osa proporre delle limitazioni al consumo della carne perde migliaia di elettori? La rivoluzione della carne è solo l’idea fissa di una élite fuori dalla realtà?”
In verità bilanciare il regime alimentare, introducendo proteine alternative e limitando il consumo di carne, potrebbe consentire di ridurre drasticamente, di almeno un quarto, le emissioni di gas serra, e potrebbe al contempo ridurre del 5% le morti prevenibili ogni anno, con milioni di vite risparmiate.
È questo infatti lo scenario che è emerso da uno studio del World Economic Forum lo scorso gennaio, il quale dimostra come il bilanciamento del consumo di carni con fonti proteiche alternative può portare a benefici significativi sia per la salute umana sia per l'ambiente.
E dal punto di vista economico, per il momento il business della carne di sintesi è stimato in crescita del 40% nei prossimi cinque anni, e con un giro d'affari di 6 miliardi di dollari, anche se a frenarlo restano i costi, sia pure in calo, ma ancora veramente impossibili per un consumatore medio: se nel 2013 il costo per un Kg di carne sintetica era di 3.500 dollari, oggi è sceso a 700 dollari. Ma si stima comunque che anche quando verrà prodotta su larga scala, costerà intorno ai 60-70 euro al kg.
Ma al di là del fatto che si tratti di una tendenza destinata ad affermarsi più o meno nel tempo, di sicuro la produzione di carne sintetica o della carne del futuro inaugurerà e segnerà anche una sicura nuova frontiera del gusto. E dei gusti in cucina.