AGI - Comunità di funghi e licheni poco comuni potrebbero rappresentare una seria minaccia per la nota arte rupestre del deserto del Negev, nel tempo. A rivelarlo uno studio pubblicato su Frontiers in Fungal Biology. Il deserto del Negev, nel sud di Israele, è famoso per la sua arte rupestre unica. Almeno dal terzo millennio a.C., i cacciatori, i pastori e i mercanti che vagavano per il Negev hanno lasciato migliaia di incisioni, o petroglifi, sulle rocce. Queste figure sono per lo più incise nella “vernice del deserto”: un sottile rivestimento nero sulla roccia calcarea, che si forma naturalmente. Molte rappresentano animali come stambecchi, capre, cavalli, asini e cammelli domestici, ma esistono anche forme astratte.
“Abbiamo dimostrato che questi funghi e licheni potrebbero contribuire in modo significativo alla graduale erosione e al danneggiamento dei petroglifi”, ha dichiarato Laura Rabbachin, dottoranda presso l’Accademia di Belle Arti di Vienna in Austria e prima autrice dello studio. “Sono in grado di secernere diversi tipi di acidi che possono sciogliere il calcare in cui sono scolpiti i petroglifi. Inoltre, i funghi possono penetrare e crescere all’interno dei grani di pietra, causando un ulteriore danno meccanico”, ha aggiunto Rabbachin.
Gli scienziati hanno prelevato campioni da un sito di petroglifi negli altopiani centro-occidentali del Negev. Qui cadono in media solo 87 mm di pioggia all’anno e le temperature sulle superfici rocciose possono raggiungere i 56,3 °C in estate. I ricercatori hanno prelevato campioni dalla vernice del deserto vicino ai petroglifi, dalle rocce senza vernice del deserto e dal terreno vicino alle rocce campionate. Poi, hanno lasciato delle piastre di Petri aperte vicino alle rocce per catturare le spore trasportate dall’aria.
Gli autori hanno identificato i funghi e i licheni raccolti con due metodi complementari. In primo luogo, hanno coltivato ripetutamente il materiale fungino o le spore provenienti dalle rocce o dal terreno su piastre con uno dei due diversi terreni di crescita, fino a ottenere isolati puri per la codifica a barre del DNA. In secondo luogo, hanno eseguito direttamente il sequenziamento del DNA del materiale fungino presente nei campioni di roccia o di terreno, senza prima coltivarli.
Quest’ultimo metodo può rilevare ceppi che non crescono in coltura. Entrambi i metodi hanno mostrato che la diversità e l’abbondanza delle specie presenti sulle rocce con petroglifi è bassa rispetto al suolo, il che suggerisce che poche specie sono in grado di resistere agli estremi locali di siccità e temperatura. La codifica del DNA di isolati coltivati ha rivelato che i petroglifi ospitano più specie di funghi dei generi Alternaria, Cladosporium e Coniosporium, mentre il sequenziamento diretto ha rilevato ulteriori specie dei generi Vermiconidia, Knufia, Phaeotheca e Devriesia.
Tutti, tranne Alternaria e Cladosporium, sono funghi cosiddetti microcoloniali, noti per prosperare nei deserti caldi e freddi di tutto il mondo. Abbondano anche i licheni del genere Flavoplaca. “I funghi microcoloniali sono considerati altamente pericolosi per i manufatti in pietra - ha dichiarato Rabbachin -. Per esempio, sono stati chiamati in causa come probabile causa del deterioramento del patrimonio culturale in pietra nel Mediterraneo. I licheni sono noti anche per la loro capacità di deteriorare le rocce e quindi di essere una potenziale minaccia per il patrimonio culturale in pietra”.
Nel terreno e nell’aria circostanti, i ricercatori hanno trovato soprattutto funghi diversi e cosmopoliti, ma noti per essere in grado di sopravvivere alle dure condizioni del deserto grazie alla produzione di spore resistenti alla siccità. “Questi processi naturali di erosione non possono essere fermati, ma la loro velocità dipende fortemente da se e come il clima cambierà in futuro - ha precisato Katja Sterflinger, supervisore accademico di Rabbachin e autrice senior dello studio -.. Quello che possiamo fare è monitorare le comunità microbiche nel tempo e, soprattutto, documentare nel dettaglio queste preziose opere d’arte”, ha concluso Sterflinger.