AGI - L’analisi genetica del virus della dengue combinata con due decenni di dati di monitoraggio della malattia in Thailandia ha messo in luce il modo in cui i diversi sottotipi del virus possono influenzare il rischio di contrarre infezioni gravi e ripetute. I nuovi risultati, pubblicati su Science Translational Medicine, rispondono a una domanda di lunga data nel campo dell’epidemiologia della dengue e potrebbero informare gli sforzi di monitoraggio della malattia e le strategie di vaccinazione per questa pericolosa patologia tropicale. La dengue è un virus unico perché, a differenza della maggior parte delle infezioni, alcuni pazienti che si infettano di nuovo possono avere sintomi più gravi la seconda volta. Tuttavia, la maggior parte delle ricerche sulle infezioni ripetute di dengue ha trattato ciascuno dei quattro sottogruppi, o sierotipi, del virus come un monolite, invece di tenere conto delle differenze all’interno di ciascun sierotipo.
Per capire come il sierotipo del virus della dengue influisca sul rischio di malattia grave, Lin Wang, dell’University of Cambridge, e colleghi hanno combinato i dati antigenici sui virus con un catalogo di dettagli sui casi ospedalizzati. Gli scienziati hanno raccolto i dati relativi a 21 anni di sorveglianza della dengue, dal 1994 al 2014, in un ospedale pediatrico di Bangkok, in Thailandia, comprendendo 15.281 casi individuali. Esaminando i rapporti, i ricercatori hanno scoperto un legame tra il rischio di ospedalizzazione e l’ordine in cui una persona si è infettata con i diversi sierotipi. Ad esempio, le persone infettate con sierotipi molto simili, come i sierotipi DENV-3 e DENV-4, o molto diversi tendevano ad avere un rischio minore di malattia durante la seconda infezione.
Tuttavia, i pazienti infettati con sierotipi moderatamente diversi avevano un rischio maggiore di incorrere in sintomi gravi. Il gruppo a più alto rischio comprendeva i pazienti che hanno avuto un’infezione iniziale da DENV-2 seguita da un’infezione secondaria da DENV-1, con un rischio di malattia grave superiore del 2,15% rispetto al gruppo di riferimento. “Questi risultati suggeriscono che l’imprinting immunitario contribuisce a determinare il rischio di malattia da dengue e forniscono un percorso per monitorare il profilo di rischio mutevole delle popolazioni e per quantificare i profili di rischio dei vaccini candidati”, hanno dichiarato gli autori. “Questo diventerà sempre più importante man mano che i vaccini contro la dengue inizieranno a essere utilizzati”, hanno concluso i ricercatori.