AGI - L’ epidemia di kuru, trasmessa durante le tradizionali pratiche mortuarie antropofagiche, che ha devastato la zona della Papua Nuova Guinea nel ventesimo secolo, ha modificato la complessa struttura della popolazione, influenzando i modelli migratori delle comunità della regione. Lo rivela lo studio genetico più completo, condotto finora sulle popolazioni degli altopiani orientali della Papua Nuova Guinea, dai ricercatori della Papua Nuova Guinea e del Regno Unito, pubblicato su The American Journal of Human Genetics. I risultati gettano le basi per future ricerche sulla malattia mortale del kuru. “Abbiamo navigato in uno dei paesaggi più complessi possibili in termini di diversità geografica, culturale e linguistica e abbiamo preparato la scena per il futuro lavoro di epidemiologia genetica”, ha dichiarato Liam Quinn, primo autore del lavoro presso l’University College di Londra e l’Università di Copenhagen. Il popolo Fore, che fino alla metà del ventesimo secolo era relativamente isolato dal resto del mondo negli altopiani orientali della Papua Nuova Guinea, aveva una solida tradizione di riti mortuari, durante le quali si mangiavano i corpi dei defunti come espressione di rispetto. Tuttavia, una malattia mortale si stava diffondendo tra le persone che partecipavano ai rituali. La malattia colpiva in particolare le donne e i bambini che, come parte dei rituali mortuari, consumavano i tessuti infetti degli individui deceduti. La malattia, nota come kuru, portava a una perdita di coordinazione motoria e di equilibrio, e poi a un tremore del corpo che conduceva alla morte. Al culmine dell’epidemia, in alcuni villaggi la popolazione femminile era significativamente ridotta. “Per rispetto a queste comunità, non usiamo la parola ‘cannibalismo’ per descrivere questa pratica, ma ci riferiamo invece a banchetti mortuari o a pratiche mortuarie antropofagiche”, ha spiegato Simon Mead, coautore del lavoro presso l’Unità Prioni del Medical Research Council del Regno Unito all’University College di Londra.
“Si pensava che chiunque avesse partecipato a un banchetto mortuario e avesse mangiato tessuto cerebrale infetto sarebbe morto di kuru, ma questo non era corretto”, ha precisato ha continuato Mead. “Quando, infatti, la squadra del Papua New Guinea Institute of Medical Research, o PNGIMR, ha intervistato gli anziani della popolazione colpita, è emerso chiaramente che c’erano persone che avevano partecipato a più banchetti mortuari, ma che erano comunque sopravvissute”, ha continuato Mead. L’epidemia di kuru è diminuita nel corso dei decenni dopo che le pratiche mortuarie antropofagiche sono state messe al bando negli anni Cinquanta.
Tuttavia, i ricercatori hanno continuato a interessarsi alla malattia, in particolare per capire come vivevano alcune persone dopo aver partecipato a questi banchetti. Il Kuru è un tipo di malattia da prioni, che comprende l’encefalopatia spongiforme bovina, comunemente nota come morbo della mucca pazza, e la sua variante, la malattia di Creutzfeldt-Jakob, che ha colpito gli esseri umani che hanno consumato bovini infetti, in particolare nel Regno Unito. Le malattie da prioni sono incurabili e fatali, causate da un’alterazione della forma della normale proteina prionica dell’organismo. I ricercatori sono interessati a studiare come proteggere gli esseri umani da queste patologie.
Le prime ricerche genetiche tra i Fore hanno rivelato che alcune delle donne anziane sopravvissute ai banchetti presentavano varianti genetiche nel gene che codifica le proteine prioniche, che probabilmente le rendevano resistenti al kuru. “Abbiamo trovato prove che la popolazione Fore si stava evolvendo per proteggersi dall’epidemia di kuru, ma questa regione era stata poco studiata in passato, quindi non potevamo fare inferenze sicure sull’evoluzione senza una conoscenza più approfondita della genetica delle popolazioni coinvolte”, ha osservato Mead. I ricercatori sul campo delle popolazioni colpite e di quelle vicine sono stati reclutati dal PNGIMR per raccogliere campioni genetici, attraverso una partecipazione comunitaria a lungo termine, che sono stati poi analizzati con l’assistenza di Mead e dei colleghi di Londra e Copenhagen. Sono stati analizzati i dati genetici di 943 individui, provenienti da 68 villaggi, in rappresentanza di 21 gruppi linguistici degli altopiani orientali della Papua Nuova Guinea, che rappresentano il maggior numero di campioni mai raccolti nella regione.
La raccolta dei dati è stata supportata da studi etnografici approfonditi sui riti mortuari tradizionali e sulla storia orale della regione colpita dal kuru. “Stiamo osservando un grado di campionamento che fornisce una risoluzione nell’area che non è stata raggiunta prima negli studi”, ha sottolineato Quinn. “Questo set di dati ci ha permesso, per la prima volta, di porre alcune domande sulle origini e sulle interrelazioni di queste comunità, che tradizionalmente non avevano una storia scritta, e su come si sono formate nel corso di lunghi periodi di tempo”, ha aggiunto Quinn. La squadra di scienziati ha utilizzato i dati genotipici di tutti i campioni e ha confrontato i genomi di individui provenienti da diversi villaggi e gruppi linguistici, sia all’interno che all’esterno degli Eastern Highlands. Gli studiosi hanno riscontrato una distanza genetica sorprendentemente elevata tra alcuni gruppi linguistici della regione. I ricercatori hanno suggerito che il terreno difficile, che comprende montagne e fiumi che scorrono velocemente, potrebbe aver contribuito a queste osservazioni.
Ad esempio, i gruppi linguistici Anga e Fore erano separati l’uno dall’altro da un fiume che scorreva velocemente, ma la loro distanza genetica supera quella osservata tra una popolazione del Regno Unito e una dello Sri Lanka. Inoltre, gli scienziati hanno riscontrato un grande afflusso di donne che migravano nella regione infetta da kuru nel corso degli anni, sfidando l’idea che i gruppi colpiti da kuru fossero rimasti isolati dalle comunità vicine ed esclusi dallo scambio matrimoniale a causa della loro convinzione che la malattia fosse causata dalla stregoneria.
“I nostri risultati forniscono prove a sostegno di un’altra teoria, che suggerisce invece che i sistemi di parentela flessibili dei Fore permettessero loro di interagire con donne di comunità esterne, nonostante i timori del kuru”, ha affermato Quinn. “Questo probabilmente ha aiutato i Fore a riprendersi dalla devastazione causata dal kuru, in particolare per la popolazione femminile dei Fore al culmine dell’epidemia”, ha illustrato Quinn. “Comprendere queste distanze genetiche e le variazioni introdotte dalla migrazione è fondamentale”, hanno evidenziato i ricercatori. Senza questi dati di base, gli scienziati potrebbero attribuire erroneamente le varianti genetiche all’immunità al kuru quando in realtà sono legate a queste complesse ragioni demografiche. “Questo è un altro passo nel nostro impegno di ricerca a lungo termine per scoprire come il popolo Fore e i suoi vicini siano sopravvissuti al kuru”, ha specificato Mead. “È anche un’importante serie di dati che ci aiuterà a capire meglio la storia umana, perché le nostre conoscenze sulle popolazioni della regione erano scarse”, ha concluso Mead.