AGI - “Il ghiaccio marino artico si sta riducendo sia in estensione che in spessore a una velocità che non ha precedenti, riducendo l’estensione dello schermo bianco in grado di riflettere energia termica nello spazio. La fusione del permafrost terrestre e subacqueo causa una drammatica accelerazione dell’immissione di gas climalteranti in atmosfera. La jet stream atmosferica che circonda l’Artico sta perdendo velocità, portando occasionalmente aria fredda alle medie latitudini ma causando ulteriore riscaldamento in Artico. La calotta di ghiaccio della Groenlandia è destabilizzata e destinata a causare un innalzamento del livello del mare globale senza precedenti negli ultimi 10.000 anni”. Lo ha affermato Fabio Trincardi, direttore del Dipartimento di scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Dsstta), e rappresentante uscente dell’Ente nel Comitato Scientifico Artico del PRA al meeting annuale del Programma Ricerche in Artico, organizzato a Roma, presso la sede centrale del Cnr, giovedì 22 febbraio.
Il convegno ha rappresentato un’occasione per fare il punto sulla gravità della crisi climatica e della distruzione di biodiversità in atto in Artico, oltre che per valutare gli scenari di ulteriore impatto antropogenico sull’area e per presentare i risultati dei primi anni di finanziamento del PRA. I più recenti rilevamenti confermano che l’aumento della temperatura in Artico è drammaticamente superiore alla media mondiale, con alcune regioni che presentano un aumento fino a 2.7°C ogni dieci anni, corrispondente addirittura a 5-7 volte il tasso di crescita globale della temperatura. Le due relazioni ad invito che hanno aperto la giornata sono state offerte da Kim Holmen del Norvegian Polar Institute sulle necessità di osservazione e miglioramento della modellistica climatica in Artico – e alle Svalbard in particolare – e da Lucilla Alfonsi di INGV sull’interazione tra attività solare e magnetosfera terrestre, incluse le ricadute in campo economico attraverso la trasmissione di dati e le tecniche di posizionamento satellitare. Alfonsi (INGV) in particolare, ha evidenziato come l’atmosfera polare sia continuamente esposta alle variazioni dall’attività solare, a causa della conformazione del campo magnetico terrestre che, di fatto, invita le particelle cariche trasportate dal vento solare ad entrare nella nostra atmosfera dando luogo anche a meravigliose manifestazioni naturali come le aurore. Possiamo quindi considerare le regioni polari come sentinelle delle condizioni dello spazio che circonda la Terra. Questa caratteristica rende l’atmosfera polare un formidabile laboratorio naturale per lo studio delle relazioni Sole-Terra anche nell’ambito della meteorologia spaziale, disciplina che ambisce a prevedere e a mitigare gli effetti dannosi delle perturbazioni solari su tecnologie largamente usate (quali, ad esempio, quelle che utilizzano i satelliti GPS). La riduzione del ghiaccio marino sta anche favorendo un incremento del traffico navale nella regione, con conseguente aumento dei rifiuti in mare e soprattutto con un aumento delle emissioni di fuliggine, che “sporca” il ghiaccio riducendone la capacità di riflettere l’energia infrarossa.
“Tutte queste variazioni influenzano processi che si estendono su scala globale. Quello che succede in Artico, non resta in Artico, ma impatta anche le medie latitudini”, ricorda Andrea Spolaor (Cnr-Isp). L’estendersi in Europa, e fino al Mediterraneo, delle conseguenze dei fenomeni di riduzione dell’ozono che hanno caratterizzato l’Artico nel 2011 e il 2020, è stato messo in evidenza da recenti studi anche di ricercatori italiani e rappresentano un esempio immediato di interazione e interconnessione tra le regioni artiche e le nostre latitudini. L’Artico si conferma quindi una regione chiave per lo studio dei cambiamenti climatici, i cui effetti sono sempre più evidenti a tutte le latitudini. Per queste ragioni il PRA si è focalizzato sul fenomeno della cosiddetta “amplificazione artica”, sugli ecosistemi artici, sull’atmosfera e sulla colonna d’acqua dei mari artici, sulle ricostruzioni paleoclimatiche e sugli effetti della crisi climatica sulle popolazioni che vivono in Artico. Questa focalizzazione risulta ancora pienamente valida ed è stata estesa al triennio successivo, in corso. Ad esempio, con il progetto “ECAPAC” (Effects of Changing Precipitation and Albedo in the arctic Climate, proponente Virginia Ciardini, ENEA), si stanno investigando le complesse connessioni fra precipitazione e albedo superficiale. Variazioni di albedo sono importanti nella determinazione del bilancio di radiazione alla superficie e conseguentemente del bilancio energetico. La fase della precipitazione (solida, liquida) e le condizioni, come temperatura e vento, che determinano il quantitativo e la persistenza o meno della neve e del ghiaccio al suolo, pesano molto sulle variazioni di albedo. I differenti effetti su albedo e sul bilancio di radiazione possono attivare meccanismi di retroazione che favoriscono l’accumulo o, al contrario, la perdita neve e ghiaccio alla superficie. I dati che si stanno raccogliendo nell’ambito del progetto e che si hanno a disposizione, permettono di caratterizzare casi con differenti condizioni e di comprendere i processi. Il PRA mette, inoltre, in evidenza l’importanza per la ricerca in Artico della Stazione “Dirigibile Italia” gestita dal Cnr alle Isole Svalbard sin dal 1997, come pure le iniziative italiane presso altre strutture artiche, a partire da quelle di ENEA, INGV e Università di Roma Sapienza presso l’High Arctic Atmospheric Observatory (THAAO) di Thule in Groenlandia e dell’INGV presso le stazioni di monitoraggio della ionosfera a Ny Alesund e Longyearbyen.