AGI - L’estate e l’autunno roventi del 2023 hanno segnato l’inizio di un capitolo climatico senza precedenti, con ondate di calore che hanno scosso il mondo. La domanda ora è: ci aspetta l’inverno più caldo mai registrato a livello globale? Dai giorni più caldi alle stagioni roventi, il 2023 è stato costantemente al centro dell’attenzione per le temperature estreme.
Le cifre parlano chiaro: la temperatura media globale da giugno ad ottobre ha superato di 0,57℃ la media del periodo 1991-2020. Ad agosto e settembre, si è toccato l’apice, superando le medie storiche rispettivamente di 0,62℃ e 0,69℃, battendo così i record del 2016. In questo contesto di riscaldamento globale, il ritorno del fenomeno El Niño dopo sette anni ha aggiunto un ulteriore impulso al calore.
Il team di Predizione Climatica a Breve Termine presso l’Istituto di Fisica Atmosferica, Accademia Cinese delle Scienze, ha analizzato attentamente le tendenze climatiche per l’inverno 2023/24. Secondo i loro ultimi risultati, pubblicati su Advances in Atmospheric Sciences, è previsto un El Niño dell’Est Pacifico da moderato a forte (indice ENSO > 1,5°C), che potrebbe innescare una serie di eventi influenti sui climi invernali di Asia orientale e Nord America.
Quanto sarà caldo questo inverno? Il rapporto sottolinea che l’effetto combinato del El Niño e della tendenza al riscaldamento globale a lungo termine porterà molto probabilmente a un inverno eccezionalmente caldo nelle regioni delle latitudini medie-basse dell’Eurasia e nella maggior parte delle Americhe.
C’è addirittura una probabilità del 95% che la temperatura media superficiale globale stabilisca un nuovo record storico per l’inverno 2023/24. In particolare, in Cina le temperature potrebbero superare il doppio dei valori usuali, con il rischio di stabilire il record della temperatura invernale più alta dal 1991.
Queste previsioni tengono conto non solo della variabilità interna del clima ma anche di forzature esterne. Ad esempio, gli incendi boschivi australiani del 2019, secondo recenti ricerche degli Stati Uniti, potrebbero aver giocato un ruolo chiave nel determinare gli anni successivi di La Niña. Questo legame coinvolge i fumi prodotti dagli incendi, che creano nuvole basse sull’Oceano Meridionale, influenzando le temperature superficiali e favorendo la persistenza di La Niña con frequenza pluriennale.
La ricerca del Team di Ricerca Vulcanologica dell’Università Sun Yat-sen suggerisce che eruzioni di vulcani nell’emisfero australe potrebbero precedere frequentemente La Niña, sottolineando il ruolo del raffreddamento dell’Oceano Meridionale in questo processo. In sintesi, il panorama climatico invernale del 2023/24 si presenta incandescente, alimentato da una combinazione esplosiva di fattori naturali e forzature antropiche.