AGI - Sono stati rivenuti fossili di denti risalenti a 2 milioni di anni fa che hanno rivelato i dati genetici umani più antichi mai trovati. La scoperta dell’Università di Copenhagen è stata pubblicata sul server bioRxiv. Le antiche sequenze proteiche provengono da diversi fossili di denti di Paranthropus robustus trovati in una grotta sudafricana e hanno permesso di identificare il sesso dei fossili e possibili relazioni evolutive.
Gli ominini sono emersi in Africa circa sette milioni di anni fa. Ora i ricercatori hanno raccolto informazioni genetiche da un ominino africano vissuto due milioni di anni fa, i dati più antichi ancora recuperati. “È un risultato sorprendente”, ha affermato Katerina Douka, archeologa dell’Università di Vienna. “A quell’età, i resti si sono quasi trasformati in pietra”, ha aggiunto Douka. Non è chiaro se le poche sequenze recuperabili da fossili molto antichi possano aiutare a districare relazioni evolutive su cui gli scienziati dibattono da decenni.
“Nessuno sa ancora quanto sarà utile”, ha affermato Beatrice Demarchi, archeologa biomolecolare dell’Università di Torino. L’anno scorso, i ricercatori hanno ottenuto sequenze genetiche da campioni di permafrost della Groenlandia risalenti a due milioni di anni fa, stabilendo il record della più antica scoperta di DNA antico conservato. Ma il DNA si degrada più rapidamente nei climi più caldi. I ricercatori sono riusciti, con enormi sforzi, a sequenziare un frammento del più antico DNA di ominide di cui si abbia notizia: un genoma di Neanderthal di 400.000 anni fa, rinvenuto in una fossa sotterranea in Spagna.
Le proteine tendono ad essere più resistenti del DNA, consentendo ai ricercatori di spingere la documentazione molecolare più indietro nel tempo. Prima di questa scoperta, una squadra guidata da Enrico Cappellini, chimico delle proteine presso l’Università di Copenhagen, ha sequenziato le proteine dei denti da resti di circa 800.000 anni fa appartenenti a una specie chiamata Homo antecessor in Spagna, nonché sequenze più limitate da fossili di Homo erectus di 1,8 milioni di anni fa provenienti dalla Georgia.
Nello studio, guidato da Cappellini assieme ai suoi colleghi dell’Università di Copenhagen, la scienziata delle proteine Claire Koenig, il biologo molecolare Ioannis Pastramanis e la biologa molecolare Palesa Madupe, i ricercatori hanno campionato quattro denti di P. robustus provenienti dalla grotta di Swartkrans, 40 chilometri a nord-ovest di Johannesburg. Gli scienziati hanno utilizzato una tecnica chiamata spettrometria di massa per analizzare centinaia di aminoacidi nello smalto di ciascun campione, lo strato minerale esterno dei denti.
Un’ulteriore scoperta è stata una proteina chiamata amelogenina-Y, prodotta da un gene sul cromosoma Y, trovata due campioni. La sua presenza ha permesso ai ricercatori di concludere che i denti appartenevano a maschi. Uno di questi era stato precedentemente attribuito a una femmina sulla base delle sue piccole dimensioni. Gli altri due denti non presentavano tracce di amelogenina-Y e contenevano la versione della proteina legata al cromosoma X, il che ha portato gli autori a dedurre che gli esemplari appartenevano probabilmente a femmine.
In tutti e quattro i campioni sono stati sequenziati circa 400 degli stessi aminoacidi. Ciò ha permesso ai ricercatori di costruire un semplice albero evolutivo che conferma che l’Homo sapiens, i Neanderthal e gli ominini trovati in Siberia, chiamati Denisovani, vissuti negli ultimi 200.000 anni, sono tutti più strettamente imparentati con il Paranthropus di due milioni di anni fa. In una proteina dello smalto, i ricercatori hanno, inoltre, riscontrato differenze di sequenza tra i resti di Paranthropus, che potrebbero riflettere la variabilità all’interno della specie.
“La costruzione di un albero evolutivo a partire dai dati genetici di resti così antichi può essere considerata una svolta potenzialmente trasformativa per la paleoantropologia”, hanno dichiarato gli autori. “Gli studi sulle proteine antiche potrebbero facilitare la collocazione, nell’albero genealogico, di ominini come l’Australopithecus afarensis, di cui esistono molti frammenti fossili e di cui l’esemplare più completo è noto come Lucy”, hanno precisato gli autori.