AGI - Secondo uno studio apparso su “Science” a firma di studiosi dell’Università di Helsinki, le unità di misura basate sul corpo avrebbero vantaggi cognitivi e comportamentali rispetto ai sistemi di misurazione standardizzati e andrebbero preservate dalle minacce della globalizzazione. I ricercatori hanno ricostruito lo sviluppo e l’uso di misurazioni basate sul corpo in 186 culture in tutto il mondo, rivelando sia somiglianze che diversità nell’uso di unità di misura basate sul corpo umano.
Sorprendenti somiglianze interculturali
Secondo i risultati, le variazioni del braccio, dell’apertura delle mani, e il cubito erano le unità di misura usate più di frequente e mostravano sorprendenti somiglianze interculturali. Utilizzando il database etnografico Human Relations Area Files (HRAF), gli autori sono anche giunti alla conclusione che le variazioni del braccio, dell’apertura delle mani, e il cubito sono particolarmente comuni nella progettazione di prodotti ergonomici come abbigliamento, sci, kayak o archi, per esempio, e in alcuni casi superiori alle unità di misura standard.
Secondo gli studiosi, la standardizzazione delle unità di misura potrebbe essere derivata dai processi di industrializzazione e rischierebbe di mettere a repentaglio queste unità di misura tradizionali minacciate dalla globalizzazione.
No ad approcci ideologici
“La standardizzazione delle unità di misura è andata di pari passo con l’evoluzione della civiltà umana. Ritenere che rappresenti un processo anche solo da limitare sulla base di considerazioni poco convincenti sulla ‘superiorità’ di unità di misura rudimentali basate sulle parti del corpo, mi pare davvero folle” ha commentato il prof. Massimo Inguscio, accademico dei Lincei, già alla guida tra l’altro dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM) e del CNR.
“Partiamo innanzi tutto – continua Inguscio – dal considerare che anche le unità di misura ancora utilizzate basate su parti del corpo hanno subito un processo di standardizzazione come il piede. Anche perché se no, senza uno standard, l’esito sicuro sarebbe l’imprecisione e l’errore. Detto questo immaginare di continuare ad utilizzare unità di misura locali e imprecise solo per questioni di lotta alla globalizzazione mi pare un approccio ideologico e del tutto controproducente.”
“Per centinaia di anni – continua il prof. Inguscio – da quando la Rivoluzione francese, Napoleone poi hanno dato il via al grande processo di standardizzazione per le unità di misura della distanza, passando per la Convenzione del Metro, sino alle più avanzate standardizzazioni della distanza basate sulla velocità della luce, l’identificazione di unità di misura precise e universali – non solo ovviamente nel campo della distanza – ha permesso al genere umano di poter comunicare e prosperare giungendo a vette inimmaginabili senza gli standard comuni”.
I benefici della standardizzazione
Un esempio cui poco si pensa, ma essenziale è il campo medico: “Lei pensi se non avessimo a disposizione una scala di misura universale e razionale come quella legata al metro cosa ne sarebbe della nanotecnologia sanitaria. Anche una frazione di millimetro può determinare la vita o la morte di una persona per quel che riguarda determinate applicazioni mediche e risultati ottimali sono possibili proprio grazie alla precisione che deriva dagli standard di misura”.
“È chiaro che in civiltà all’inizio del loro sviluppo, soprattutto per oggetti che hanno bisogno di adattarsi al corpo si è fatto riferimento al corpo per la misura di detti oggetti. Ma questo non vuol dire che si debba neanche lontanamente rinunciare ai vantaggi che hanno portato le misure standard per fare passi indietro, e a dire il vero ho molti dubbi che anche per la progettazione anche solo di un vestito possano ottenersi risultati più validi misurando ad occhio col palmo di una mando invece che con un metro ben tarato” conclude Inguscio.