AGI - 'Harvard d'Arabia', 'Mit arabo': a Thuwal, 80 chilometri a nord di Gedda, in Araba Saudita, sorge la King Abdullah University of Science and Technology, Kaust nell'acronimo inglese.
In Italia è praticamente sconosciuta al di fuori del mondo accademico ma in 14 anni di vita è diventata un polo scientifico di eccellenza, entrato nella Top 100 delle università mondiali. Ne fanno parte docenti e ricercatori provenienti da 75 Paesi e gli italiani sono oltre un centinaio. Tra di loro c'è Valerio Orlando, arrivato nel 2013 alla Kaust e fondatore e attuale direttore del Dipartimento di Epigenetica.
"Gli italiani sono circa 120 e ricoprono ruoli anche molto importanti", spiega Orlando, laureato in Biologia molecolare alla Sapienza di Roma, "il vicepresidente ad interim è di origini italiane e c'è anche un capodivisione italiano. Questa è una realtà arricchita dagli italiani, come professori e capi laboratorio abbiamo sollecitato l'interesse di moltissimi connazionali e ci sono convenzioni con università, abbiamo attratto qui dottorandi e studenti di Master".
La Kaust è affidata alla regia del Ministero del petrolio, tra i maggiori finanziatori ci sono i colossi petroliferi e chimici come Sabic e Saudi Aramco, ma l'ateneo spazia in uno spettro scientifico e tecnologico molto ampio. Fu il re Abdullah bin Abdulaziz Al Saud, nel 2007, a volere un ateneo all'avanguardia per recuperare i ritardi dell'Occidente e scommettere su "un'economia interamente basata sulla conoscenza".
"Il Kaust nasce sul modello del California Institute of Technology, è un'università che non ha il Bachelor ma le specializzazioni in Master PhD e livelli superiori perché volta ad accelerare una transizione da un'economia basata sul petrolio a un'economia basata sulla conoscenza", sottolinea Orlando. L'università è un'eccellenza "dalla chimica, alla biologia e alla matematica, con programmi sull'intelligenza artificiale molto articolati".
Tra i campi di studio ci sono il mare (la Kaust si affaccia sulle acque cristalline del Mar Rosso), l'agricoltura e l'uso dell'acqua, tema quanto mai attuale anche in Italia alla luce dell'emergenza siccità: "Qui ogni cosa che si costruisce, ogni centimetro conquistato, viene sottratto al deserto, servono tecnologia e innovazione e la ricerca sull'acqua è un campo essenziale", spiega il docente italiano.
Orlando è stato testimone anche all'apertura della società saudita, un processo graduale ma ormai probabilmente irreversibile: "Quando arrivai qui 10 anni fa il Paese era molto chiuso, però fui impressionato dal progetto culturale di un'università in cui le regole erano completamente diverse. Un ateneo aperto ai giovani di talento e non di élite, una realtà molto competitiva che addirittura paga gli studenti che ottengono le borse di studio, un investimento sul futuro di un Paese giovane in cui due terzi della popolazione è sotto i 30 anni".
"Prima eravamo un'enclave", osserva, "adesso è il contrario, la società fuori da questa cittadella in cui vivono 12mila persone è diventata vibrante, si tengono Festival del cinema, è stata ricostruita tutta la città vecchia di Gedda, al Balad, che ora è irriconoscibile, vediamo realizzati i progetti di sviluppo socio-economico".
Il piano Vision 2030, lanciato nel 2016 dal principe Mohammed bin Salman per una trasformazione economica dell’Arabia Saudita che vada oltre gli idrocarburi, ha anche comportato un ripensamento della società, tra cui l'apertura al turismo e il maggiore coinvolgimento delle donne. Il numero delle saudite occupate oggi è del 35% della forza lavoro (era il 22% nel 2017). "Il programma di educazione aveva le donne al primo posto", conferma Orlando, "sono 300 mila gli studenti mandati in America e in Inghilterra a studiare a spese dello Stato. Molti adesso stanno tornando, le donne sono la metà e sono le prime a guidare il cambiamento, così come sono cambiate tante leggi. Ci sono programmi che vanno a cercare proprio le ragazze di talento nelle scuole".
Quando Kaust fu fondata, nel 2009, era solo un piccolo villaggio di pescatori. Come ci si vive? "Thuwal resta un paesino di pescatori, tra l'altro il pesce è buonissimo. Siamo a tre quarti d'ora dal centro di Gedda, dove ci sono tante cose da fare. Qui invece l'aspetto naturalistico è dominante, sia il mare che il deserto sono incontaminati e offrono possibilità di svago per tutti. E il paesino accanto a noi è cosmopolita, c'è una varietà di ristoranti esotici interessanti dove mangiamo con grande piacere".
La conclusione non può che essere sulla fuga di cervelli che l'Italia non riesce ad arginare e di cui la Kaust è un esempio lampante: "Il discorso della fuga di cervelli è forse mal posto", spiega il direttore del Dipartimento di Epigenetica dell'ateneo saudita, "è vero che gli italiani vanno via però il problema fondamentale è che in Italia non viene nessuno. Se persino un Paese chiuso ed estremo come l'Arabia Saudita ha deciso di aprire le porte a competenze che vengono da fuori per arricchire il proprio territorio e costruire il proprio futuro, noi soffriamo invece di una chiusura inspiegabile".
"Eppure", sottolinea, "siamo stati a lungo una destinazione privilegiata per tutti i campi della conoscenza, dalla letteratura alla musica, alla scienza sperimentale. Da tutto il mondo sarebbero pronti a spendere qualche anno della loro vita per portare da noi competenze ed entusiasmo, se solo mettessimo a disposizione le risorse per farlo".
"Vorremmo vedere l'Italia accogliere non italiani o magari italiani che tornano e contribuiscono a costruire il futuro del nostro Paese", conclude Orlando, "speriamo che questo accada, magari la nostra esperienza fuori un giorno potrà essere di utilità per l'Italia, questo è l'auspicio".