AGI - Livelli ematici elevati di glicani, strutture costituite da molecole di zucchero, potrebbero essere collegati a un rischio maggiore di sviluppare la malattia di Alzheimer. Lo suggerisce uno studio, pubblicato sulla rivista Alzheimer's & Dementia, condotto dagli scienziati del Karolinska Institutet, in Svezia.
Il gruppo di ricerca, guidato da Robin Zhou, ha valutato la correlazione tra queste molecole e la probabilità di ricevere una diagnosi di malattia neurodegenerativa. I ricercatori hanno considerato i dati relativi a 233 partecipanti allo Swedish National Study on Aging and Care in Kungsholmen (SNAC-K). I campioni sono stati raccolti tra il 2001 e il 2004 e i volontari sono stati monitorati regolarmente per un follow-up di circa 17 anni.
"Il nostro lavoro - osserva Zhou - suggerisce che i livelli ematici di glicani subiscono alterazioni notevoli nel corso della malattia di Alzheimer. La combinazione di un test della memoria e un esame del sangue potrebbe pertanto rappresentare una strategia efficace, economica e minimamente invasiva per diagnosticare tempestivamente la condizione, il che aumenterebbe notevolmente l'efficacia dei trattamenti per i pazienti".
La possibilità di riconoscere in anticipo le persone a maggior rischio di sviluppare malattie neurodegenerative è molto importante, e negli ultimi tempi sta diventando evidente la necessità pratica e finanziaria di metodi di screening non invasivi per identificare la condizione.
Il gruppo di ricerca ha dimostrato che il livello di una certa struttura glicanica nel sangue, denominata N-acetilglucosamina bisecata, può essere utilizzato per prevedere il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. I glicani, spiegano gli esperti, sono molecole di zucchero che si trovano sulla superficie delle proteine.
"Un semplice modello statistico capace di considerare insieme i livelli di glicani e proteina tau nel sangue - aggiunge Sophia Schedin Weiss, collega e coautrice di Zhou - ha mostrato un'affidabilita' dell'80% nel riconoscere i pazienti a rischio, circa un decennio prima della manifestazione di sintomi associati all'Alzheimer. Il nostro approccio potrebbe essere davvero importante nel rilevamento precoce della malattia".