AGI - La missione Juice, ormai prossima a partire verso le lune ghiacciate di Giove, è stata un nuovo segnale del rilevante ruolo dell’Italia nei programmi della European Space Agency. Sulle eccellenze tecnologiche del nostro Paese in questo settore contano inoltre i programmi spaziali di numerose agenzie extraeuropee.
È insieme al Giappone che abbiamo lanciato la missione Bepi Colombo, che andrà a indagare i misteri di Mercurio. È sui nostri strumenti che la Cina si appoggia per il monitoraggio della correlazione tra grandi eventi sismici e oscillazioni nella ionosfera. Ed è nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) che la Nasa, ancora un committente importante, già negli anni ’80 spediva i suoi astronauti per la formazione in vista degli esperimenti da effettuare nel cosmo, grazie a una camera a plasma unica in Europa. In una corsa allo spazio che sta tornando accesa, l’Italia è in prima linea, e su più di un fronte. Abbiamo visitato i laboratori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica per raccontarvelo.
Studiare l’universo con i raggi X
IXPE, lanciata nel dicembre 2021 dalla Nasa e dall’Agenzia Spaziale Italiana, è la prima missione interamente dedicata allo studio dell’universo attraverso la polarizzazione dei raggi X, grazie a una tecnologia del tutto made in Italy illustrataci da Paolo Soffitta, che ne è responsabile scientifico italiano. È lui a introdurci nella “clean room” che ospita un modello identico ai rilevatori per la calibrazione utilizzati al momento il volo.
Scopo dello strumento, sviluppato in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Pisa, è lo studio dei nuclei galattici attivi distanti, che emettono poche onde radio percettibili. “Il contributo italiano è fondamentale, è un’attività estremamente importante, perché, essendo questa missione su Discovery, non ci sono sorgenti di calibrazione in cielo e dobbiamo fare riferimento alle nostre calibrazione a terra e al sistema di calibrazione di bordo che abbiamo sviluppato”, spiega Soffitta.
“Sono rilevatori molto artigianali, non da industria perché sono pezzi sostanzialmente unici”, aggiunge il ricercatore Iaps Fabio Muleri, “Ixpe è il primo strumento sensibile a una radiazione ad alta energia prima non misurata, quindi è un lavoro innovativo. In altri casi si fanno strutture molto più grandi, gli acceleratori di sincrotrone, qui abbiamo lavorato in casa perché i tempi e le necessità molto specifiche del progetto richiedevano molta flessibilità, che è stato fondamentale per rispettare i tempi che ci erano stati imposti dalla Nasa e dall’Agenzia Spaziale Italiana”. L’orizzonte, sottolinea Soffitta, è la creazione di strumenti di rilevazione sempre più performanti, che possano andare incontro alle future esigenze di Nasa e Asi.
Le innovazioni dell’industria spaziale aprono sovente la strada ad applicazioni nei settori più disparati e vale anche per i raggi x. Ne è noto l’utilizzo nella medicina e nella sicurezza. Va però menzionato anche lo studio delle opere d’arte, nel quale l’Italia, prosegue Muleri, “per ovvi motivi è molto presente”. "Non è la prima volta che l’astrofisica apre nuovi campi”, conclude il ricercatore, “noi stiamo aprendo un altro campo che è l’astrofisica delle alte energie, il cui utilizzo è ancora da immaginare”.
Alla scoperta di Mercurio
Il pianeta più vicino al sole è sempre stato poco esplorato, salvo due missioni americane, per via dell’estrema ostilità dell’ambiente, che pone cospicue sfide tecnologiche. La svolta è arrivata nel 2018 con la missione italo-nipponica BepiColombo, che ha lanciato due sonde destinate a entrare nell’orbita di Mercurio tra due anni. L’orizzonte del progetto si è però allargato col tempo, ci spiega Elisabetta De Angelis.
“Si sperava di stare tranquilli fino al 2025, quando arriveremo lì, e invece c’è una grande attività perché si è colta l’opportunità di accendere gli strumenti che potevano essere in grado di misurare sia attorno a Venere che attorno alla Terra in questi fly by con i quali ci stiamo avvicinando a Mercurio, poi si usano gli strumenti non ancora in vista che possono effettuare attività”, sottolinea la ricercatrice, “nella fase di crociera non era prevista tanta scienza e invece, dalle osservazioni fatte, sta venendo fuori una scienza di un certo livello“.
“L’Italia è molto coinvolta, solo in questo strumento ci sono almeno tre strumenti di responsabilità italiana: le camere che guardano la superficie del pianeta, l’accelerometro che misura gli effetti gravitazionali e il misuratore di particelle”, continua De Angelis, “vedremo gli effetti del vento solare sulla superficie, come l’atmosfera si riempie e si svuota e tutte queste dinamiche che sono importantissime per rilevare gli effetti dell’attività solare sul pianeta, che poi arriva anche a noi”.
Mercurio va infatti visto come “una sentinella di queste variazioni” che poi si ripercuotono anche sul pianeta Terra, che ha però “un’atmosfera più forte”, spiega ancora De Angelis, mostrando la piccola camera di laboratorio che riproduce l’ambiente planetario: il vuoto e le particelle che si desidera misurare.
Gli strumenti del sistema ‘Serena’, in particolare (due dedicati alle particelle che precipitano, uno a quelle che rimbalzano e uno all’analisi dell’esosfera), consentiranno di “capire tutto quello che avviene intorno al pianeta: le dinamiche dell’erosione nel tempo, il vento solare che l’ha bombardato e altri fenomeni come i micrometeoriti”.
Un dispositivo unico in Europa
Piero Diego ci illustra quindi la camera a plasma dove si ricreano le condizioni dello spazio per testare gli strumenti, un dispositivo unico in Europa che ha attratto più volte l’attenzione di agenzie spaziali straniere. Ultima la Cnsa di Pechino, che ha commissionato uno strumento, in fase di test, che studierà le possibili correlazioni spazio-temporali tra le oscillazioni nel plasma e l’avvento di terremoti di grande intensità. Il campo è quello della meteorologia spaziale.
Quando cito i “precursori sismici”, Diego mi spiega che è una “parola vietata” all’Inaf. Già, perché suggerirebbe la possibilità di prevedere i sismi attraverso l’oscillazione del plasma nella ionosfera, un’ipotesi che genera “molta diffidenza” anche alla luce della grande sensibilità del tema. “Stiamo procedendo con molta cautela nell’identificare una corrispondenza precisa”, prosegue il ricercatore, “per tanti anni si sono osservate, in corrispondenza di eventi sismici, variazioni ma a volte in un senso a volte in un altro, a volte aumentava la densità, a volte diminuiva. Parliamo di correlazione, quello che avviene nei momenti precedenti il sisma”.
Piccolo è bello: l’avvento dei nanosatelliti
Menzionando i nuovi sensori in via di sviluppo, Diego sottolinea la “tendenza a miniaturizzare e rendere tutto quanto compatto, una sfida interessante, quella di rimanere nei limiti di un chilo e mezzo e 10 centimetri”. Una tendenza sulla quale è lungimirante investire: “È più facile promuovere missioni se un lanciatore può inviare decine di satelliti, si possono creare con costi bassi costellazioni che non sono invasive a fine vita e consentono di cavarsela con un budget stretto in termini di energia”.
A confermarci come la miniaturizzazione degli strumenti sia diventata fondamentale è anche Yuri Evangelista, che ci conduce nella ‘clean room’ del Cubesat Hermes, nano-satelliti equipaggiati con rilevatori X ad alta tecnologia per l’osservazione dei lampi gamma. Questa costellazione sarà in grado in pochi anni di localizzare queste enormi esplosioni cosmiche con una precisione variabile tra pochi gradi e qualche minuto d’arco, fornendo un importante contributo alla cosiddetta “astrofisica multi-messaggero”.
Lo standard dei nanosatelliti è oggi in voga, osserva Evangelista, perché consente di produrre dispositivi anche nelle università, con standard più rilassati e a un costo anche 500 volte inferiore a quello di un satellite normale. “È ammissibile una possibilità di fallimento maggiore, per fare un satellite standard servono dai 10 ai 15 anni”, spiega, “questi sono fatti per essere costruiti in pochi anni, è ammesso l’utilizzo di componenti commerciali, si cerca di farli un po’ a risparmio, magari durano due anni e non sette ma comunque consentono di avere un ritorno scientifico importante”.
La visita si conclude nel laboratorio dedicato a Janus e Majis, la camera e lo spettrometro avanzatissimi che saranno a bordo della sonda Juice. Ne riparleremo il 13 aprile, quando è prevista la partenza della missione.