AGI - Nei prossimi anni l'umanità potrebbe acquisire le competenze per realizzare i biocomputer, dispositivi alimentati da cellule cerebrali umane in grado di rivoluzionare il calcolo quantistico e una serie di altri ambiti legati alla capacità di computazione. Delineata sulla rivista Frontiers in Science, questa prospettiva è stata descritta dagli scienziati della Johns Hopkins University, che hanno riportato il proprio pensiero in merito alle possibilità e alle potenzialità di questa tecnologia. Il team, guidato da Thomas Hartung, sostiene che i biocomputer potrebbero espandere notevolmente le capacità dell'informatica moderna, creando nuovi e affascinanti campi di studio.
"Informatica e intelligenza artificiale - afferma Hartung - hanno guidato la recente rivoluzione tecnologica, ma siamo vicini al loro limite. Il biocomputing rappresenta uno sforzo ragguardevole per superare gli ostacoli attuali". Negli ultimi 20 anni, scienziati di diversi istituti in tutto il mondo utilizzano gli organoidi, tessuti cresciuti in laboratorio simili a organi completamente cresciuti, per eseguire sperimentazioni in laboratorio senza necessità di ricorrere a esemplari viventi. Il gruppo di ricerca ha lavorato con organoidi cerebrali, sfere puntiformi ricche di neuroni che mostrano capacità mnemoniche e di apprendimento.
"Queste strutture - spiega Hartung - ci permettono di studiare il cervello umano in modi che sarebbero impossibili con gli organi reali per motivi pratici ed etici". Ogni organoide contiene circa 50 mila cellule. Gli studiosi sperano di riuscire a costruire un computer futuristico in grado di funzionare su queste configurazioni biologiche. Tali dispositivi potrebbero ridurre notevolmente il consumo energetico dei supercalcolatori, raggiungendo capacità simili a quelle associate alla mente umana. "Alcuni supercomputer sono riusciti a superare le capacità computazionali del cervello umano - commenta Hartung - ma necessitano di quantitativi di energia milioni di volte più elevati".
Potrebbero volerci decenni prima che l'intelligenza organoide riesca ad alimentare un sistema complesso, ma i risultati sarebbero davvero rivoluzionari, non solo in ambito clinico, ma anche sulla ricerca in termini di soluzioni alle dipendenze, per l'analisi dei disturbi dello sviluppo neurologico e per una serie di altri settori. "Gli strumenti che stiamo sviluppando per il calcolo biologico - riporta Lena Smirnova, collega e coautrice di Hartung - sono gli stessi strumenti che ci permetteranno di comprendere i cambiamenti nelle reti neuronali specifiche per l'autismo, senza dover usare animali o coinvolgere pazienti. Questi dispositivi potrebbero aiutarci a capire i meccanismi alla base delle motivazioni per cui si sviluppano queste condizioni".