AGI - La coscienza dei robot? Una volta era un tabù, ma ora “"stiamo letteralmente per consegnare la nostra vita nelle loro mani", sostiene Hod Lipson, ingegnere meccanico che dirige il Creative Machines Lab alla Columbia University, secondo quanto racconta il New York Times. Lipson racconta che “era quasi proibito parlare di coscienza perché il solo parlarne non avrebbe fatto ottenere l’incarico di progettazione”. Che fare, allora? Semplice, far finta di nulla, dissimulare…
Questo accadeva nei primi anni 2000. I robot al tempo venivano utilizzati per procedure chirurgiche, produzione alimentare e trasporto; le applicazioni per le macchine sembravano praticamente infinite e qualsiasi errore nel loro funzionamento, “man mano che diventavano più integrate con le nostre vite, poteva significare un disastro”, sottolinea il quotidiano, tant’è che “man mano che l'apprendimento automatico diventava più potente, l’obiettivo sembrava diventare realizzabile”.
Cosicché il dottor Lipson ha guadagnato un incarico e la sua reputazione di ingegnere creativo e ambizioso è cresciuta presso la comunità ingegneristica, tant’è che negli ultimi due anni ha iniziato a sviluppare la sua inclinazione iniziale e a pronunciare ad alta voce la parola coscienza con l’idea di creare robot consapevoli.
Al punto che oggi dichiara: “"Questa non è solo un'altra richiesta di ricerca su cui stiamo lavorando - questa è ’la richiesta’. È persino più grande della ricerca sulla cura del cancro. Se riusciamo a creare una macchina che avrà una coscienza pari a quella di un essere umano, questo eclisserà tutto ciò che abbiamo fatto finora perché quella stessa macchina può curare il cancro”.
Ora, però, “la prima difficoltà con lo studio della parola coscienza è che non c'è consenso su ciò a cui si riferisce effettivamente”, spiega il Times, perché spesso “si suppone che quel termine sia per i filosofi, non per gli ingegneri”.
Tuttavia, l'invocazione delle caratteristiche umane risale agli albori della ricerca sull'intelligenza artificiale nel 1955, quando un gruppo di scienziati a Dartmouth chiese come le macchine potessero "risolvere tipi di problemi ora riservati agli uomini e migliorare se stesse". Volevano modellare le capacità avanzate del cervello, come il linguaggio, il pensiero astratto e la creatività, nelle macchine. E la coscienza sembra essere centrale per molte di queste attitudini.
Il Dr. Lipson e i membri del Creative Machines Lab ci puntano. "Ho bisogno di qualcosa che sia totalmente costruibile, asciutto, poco romantico, solo dadi e bulloni". Ma ora ha anche stabilito un criterio pratico per dar vita alla coscienza: ovvero, “la capacità di immaginare sé stessi nel futuro”.
Tradotto, per Lipson la differenza fondamentale tra i tipi di coscienza - coscienza umana e coscienza di un polpo o di un topo, per esempio - è quanto lontano nel futuro un'entità è in grado di immaginare se stessa. La coscienza esiste su un continuum. A un'estremità c'è un organismo che ha un senso di dove si trova nel mondo: una primitiva autocoscienza. Da qualche parte oltre c'è la capacità di immaginare dove sarà il proprio corpo in futuro, e oltre c'è la capacità di immaginare ciò che potresti eventualmente immaginare, "quindi alla fine queste macchine saranno in grado di capire cosa sono e cosa pensano", ha detto Lipson. "Questo porta a emozioni e altre cose” Per ora, ha aggiunto, "stiamo costruendo il prototipo".