AGI - “La Terra sta finendo i bombi”, titolava con evidenza due giorni fa il quotidiano El Paìs con un certo tono d’allarme, avvertendo: “Ed è molto più grave di quanto sembri”. Per poi sottolineare che circa il 35% degli impollinatori invertebrati, nella fattispecie api e farfalle, “si trova in pericolo di estinzione” secondo quanto segnalato da un rapporto della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
C’è davvero di che allarmarsi? Cosa sono i bombi e che funzione hanno?
“La loro funzione principale è quella dell’impollinazione, il trasporto dei gameti dalla parte maschile del fiore a quella femminile. Nella realtà il 95% delle piante a fiore ha bisogno degli insetti, e se poi non riescono a fiorire significa che non riescono a fare il frutto. Questo vuol dire che la pianta non riesce a riprodursi si spoglia e muore”, risponde Costanza Geppert, 29 anni, ricercatrice del Dipartimento Agricoltura, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente (Dafnaef) dell’Università di Padova, che studia il rapporto stretto quanto fondamentale tra gli insetti e le piante.
Dottoressa, cosa significa - come scrive il Paìs - che la terra sta esaurendo i bombi?
Innanzitutto, i bombi sono un gruppo di api. Lo sottolineo perché in genere l’idea che si ha dell’ape è quella dell’ape mellifera, la più famosa, cioè l’ape domestica che amiamo tutti in quanto ci piace il miele. Ed è anche la più comune. Però, in realtà è una specie, e in Italia ce ne sono mille. L’ape mellifera è una su mille, i bombi fanno parte di queste mille. Il fatto che diminuendo loro e tutte le loro sorelle api è assolutamente vero. Ha presente quando si dice, ormai lo si dice da anni, che l’ambiente si sta riscaldando? Bene, anche questo alla fine è vero, non è uno scherzo. Sta arrivando il momento del caldo sulla Terra e anche della diminuizione dei bombi.
Perché i bombi stanno diminuendo?
L’indiziato principale è l’agricoltura, per due grandi motivi: il primo è che l’agricoltura si sta estendendo e rubando spazio agli habitat naturali di questi animali, si fanno sempre più campi e sostanzialmente non c’è più da mangiare per loro né posto dove nidificare. L’altra causa è l’utilizzo dei pesticidi. Ogni animale, compresi noi stessi, ha bisogno di tre elementi essenziali: di acqua, cibo e una casa. Noi stiamo togliendo loro la tana e il cibo. Loro mangiano nettare e polline e fanno il nido nella terra o nelle piante. Andando a creare tutti questi spazi enormi di campi o di monoculture gli sottraiamo tutto ciò che per loro è essenziale. Sono un gruppo molto bello, anche da studiare, perché in realtà a loro basta pochissimo: basta un’aiuola con i fiori che gli piacciono e già con questo si incoraggia il loro insediamento.
I bombi riproducono le piante, senza di loro né frutta né verdura
Ci spiega la loro importanza e perché è grave che i bombi si estinguano? qual è la loro funzione, quale termometro sono?
Come detto la loro funzione principale è l’impollinazione. Senza questo atto le piante non riescono a riprodursi, si spogliano e muoiono. Meglio, la pianta continuerà a vivere, ma non avrà prole per cui, alla lunga quella specie non esisterà più. Essenzialmente i bombi permettono la riproduzione delle piante a fiori e, si dice spesso, un terzo del cibo che mangiamo dipende dall’azione di questi insetti. Il che è abbastanza impressionante. A volte, specie nelle presentazioni, si fa vedere un’immagine in cui c’è una tavola imbandita e cosa rimane se leviamo gli impollinatori. Essenzialmente non rimane niente o molto poco. I pomodori non ci sono, albicocche e cocomeri pure., le zucchine, i lamponi, la soia. Gran parte di frutta e verdura dipendono da loro.
Pertanto sono un termometro del cambiamento climatico in atto, si può dire?
Il venir meno dei bombi indica che c’è un’alterazione degli equilibri e l’alterazione principale è quella che viene chiamata “cambio di uso del suolo”. Ed è principalmente la scomparsa delle aree naturali, in generale aree ricche di fiori e di posti dove questi insetti possono fare il nido.
E il cambiamento climatico?
È una questione complicata, per quanto riguarda gli impollinatori. In realtà non si sa bene ancora cosa stia succedendo. Spesso ci sono delle alterazioni per cui una pianta fiorisce in un determinato momento, a seconda della luce e della temperatura, le piante e gli impollinatori hanno una sorta di ritmo sincronizzato e il cambiamento climatico sta alterando questa sincronia. A volte una specie, per via del cambiamento climatico, fiorisce subito e l’insetto ancora non ha reagito a questo impulso, a questo sbalzo e pertanto rimane indietro. Sono eventi determinati dalla lunghezza della giornata e dalla temperatura, effetto diretto del cambiamento climatico.
Di tutti questi intrecci, quali connessioni state studiando in particolare?
Stiamo iniziando a studiare sempre di più, non solo il nostro gruppo dell’Università di Padova ma un po’ in tutta Europa, in tutto il mondo, il ruolo che hanno le città all’interno della protezione degli insetti impollinatori. E proprio perché a loro servono le piante giuste, i fiori e i posti dove fare una casa, questi posti sono oggi facili da offrire, anche nell’ambito di un ambiente urbano.
Vuole dire che bombi e insetti vari stanno meglio in città che in campagna?
Paradossalmente, una città con dei parchi, con dei giardini può costituire un ambiente migliore per i bombi rispetto a un campo o ad una distesa di campi agricoli dove c’è solo il mais o solo il grano. C’è poi anche un ampio margine di coinvolgimento dei cittadini, sono ad esempio sempre più perché le iniziative locali o di quartiere su quali fiori piantare, quali mettere nel proprio giardino o sul balcone, su come costruire le casette per gli insetti al fine di attirare e sostenere gli impollinatori.
I bombi sembrano vivere meglio in città che nelle campagne agricole
Ma le città non sarebbero, potenzialmente, un ambiente ostile, non è vero?
Potenzialmente lo sarebbero, però tutto è relativo. Nel senso che in relazione ad una distesa di monoculture e di una situazione completamente inospitale l’ambiente cittadino costituisce per loro una risorsa più importante di quello che per noi sarebbe un ambiente naturale.
Quindi anche più importante delle campagne… quasi non ci si crede.
Dipende dalle campagne, di quelle agricole certamente sì.. Però una campagna dove c’è un po’ di bosco, prati dove ci sono dei fiori, no. Diciamo che la città ha tanto margine di sviluppo. Noi, purtroppo, non è che abbiamo mai pensato le nostre città in relazione a questi equilibri, però se iniziassimo a fare in tutti i parchi un’aiuola per gli impollinatori, magari starebbero bene quanto nelle campagne o anche di più. È comunque sempre molto difficile rendere la scienza troppo semplice, purtroppo non c’è mai una risposta univoca.
Questo vostro studio con l’Università è dunque finalizzato a favorire il radicamento degli impollinatori nelle città?
Esattamente, è così.
Ma è vero che c’è anche uno spostamento della flora a causa del cambiamento climatico? Cosa comporta e cosa significa?
Sì, è assolutamente vero e lei mi porta su un terreno che mi piace. Si parla di due spostamenti: uno è di carattere latitudinale, dove le specie vanno verso i poli, e sono spostamenti di migliaia di chilometri, l’altro è invece altimetrico ed è quello che studio io: dalla quota più bassa alla quota più alta, ed è quel che sta avvenendo su tutte le nostre montagne.
Esemplifichi.
Salendo man mano di quota diminuisce la temperatura e, visto che la temperatura sta di fatto aumentando, una specie che magari aveva trovato la sua temperatura ideale a valle si trova costretta a risalire pian piano lungo la montagna fino a che non ritrova la stessa temperatura. Cerca cioè di adattarsi a un luogo. Succede proprio questo, e trovo abbastanza strabiliante dover pensare che una pianta per ritrovare la sua temperatura adatta dovrebbe muoversi, questo sulle Alpi, di circa 4 metri l’anno.
Il clima cambia, allora le piante cercano rifugio e trasmigrano
E come fa? Come avviene lo spostamento, mica ha le gambe…
Nella pratica funziona così. Ci si deve immaginare una pianta, ad esempio un albero di quercia che rilascia delle ghiande intorno a lui. Dalle ghiande che stanno più in basso, a valle, germineranno meno piantine e queste avranno un processo riproduttivo e uno sviluppo minore di quelle che stanno più in alto, perché si trovano ad una temperatura più elevata. Man mano, nel corso degli anni, ciò comporta che piano piano tutto questo si sposta verso l’alto. Il processo riguarda lo spostamento della popolazione delle piante. Se per esempio in passato trovavo un tipo di orchidea soltanto a valle, pian piano non lo troverò più a valle ma troverò questa particolare orchidea più in alto, a quote più elevate, perché quelle i cui semi cono arrivati fin là sono riuscite a trovare il luogo più adatto al proprio sviluppo, mentre quelle i cui semi sono stati rilasciati alla stessa quota in basso, a valle, hanno troppo caldo e non riescono a svilupparsi.
Una vera e propria migrazione. Ma lo spostamento avviene in che modo? Attraverso quali condizioni, il vento, gli uccelli, anche gli impollinatori stessi probabilmente?
Non proprio gli impollinatori, ma ci sono diverse modalità di spostamento. La principale è il vento, poi ci sono anche spostamenti facilitati da altri animali e dall’acqua. Ogni pianta ha un seme diverso e magari una pianta con un seme pesante, una ghianda, trova il suo percorso attraverso un cinghiale, uno scoiattolo… mentre una pianta come l’orchidea, che ha un seme che è un milionesimo più leggero, quello vola via col vento, anche in luoghi molto lontani. Le stesse piante hanno anche strategie molto differenti una dall’altra. Una cosa molto evidente è che le piante che noi consideriamo le più rare, le più difficili da trovare in natura, sono molto spesso quelle più vulnerabili, che riescono ad adattarsi con più fatica, riescono meno a fare questo sforzo di trovare la nuova temperatura. A volte non la trovano e quindi restano imprigionate nel caldo e sostanzialmente s’estinguono.
Lo studio della sua materia è molto affascinante, ma quanto disperante è, nella realtà?
Devo dire che lo è abbastanza. Il lato positivo per me è la comunicazione di questi risultati, di queste ricerche. Ho notato che ormai quasi tutti si interessano, mi sembra che le persone stiano rivolgendo uno sguardo un po’ più attento a questi fenomeni, ultimamente. Ciò è utile, perché ci mette in grado di far sì che ci sia una protezione, un aiuto per tutte queste specie. Attraverso questi studi si capiscono anche le tecniche su come si muovono gli impollinatori in città oppure come creare quel tipo di habitat a quote più alte utile per la pianta. Ci sono delle strategie e questo è in sé confortante.