AGI - Il lanoso mammut che si è estinto tornerà a ripopolare il pianeta? Lo scorso 4 luglio, a Brattleboro, nel Vermont, nell’ambito di una parata che ha messo insieme bande musicali e vigili del fuoco, veterani del Vietnam e ballerine circensi con un gruppo di motociclisti, ha sfilato anche un mammut lanoso “alto otto piedi, su ruote, fatto di compensato, filo, tubi in PVC, tela, bucce di cocco, corteccia di betulla bianca, chiodi, molle, bottoni, strumenti di ferro arrugginito e ossa di cervo. Per le zanne, aveva tubi di metallo arrotolati e, per tronco, una canna fumaria”, riporta l’ultima edizione di metà agosto del New Yorker.
Secondo il suo ideatore e costruttore, il mammut è “un profeta del clima” in quanto “l'umanità, la specie animale e la terra sono un tutt’uno e appartengono tutti alla stessa casa”.
Osserva però il prestigioso settimanale americano che “dal 1970, le popolazioni di fauna selvatica sono diminuite di due terzi, secondo il World Wildlife Fund” e che “la World Animal Foundation ha previsto che da un terzo a metà di tutte le specie animali non umane si saranno estinte entro il 2050” mentre per quel che riguarda i precedenti eventi di estinzione di massa – come quello del mammut –, essi “si sono verificati a causa degli effetti dei livelli contenuti nel ciclo del carbonio nel corso di questo secolo".
Ma cosa c'entra il mammut lanoso con tutto questo?
Analizza il giornale: “I mammut lanosi, grandi quanto l'elefante africano ma più vicini, geneticamente, all'elefante asiatico, vivevano in Asia, Europa e Nord America fino a circa diecimila anni fa, anche se in alcuni luoghi sono sopravvissuti fino a circa quattromila anni fa. Sono le prime specie la cui estinzione gli esseri umani sono arrivati a comprendere e che potrebbero provare”.
Inizialmente si credeva che gli esseri umani avessero avuto un ruolo e un peso in quest’estinzione nel dare loro la caccia, ma invece “è più probabile che il cambiamento climatico abbia causato il declino di questa specie, ponendo fine all'ultima era glaciale”.
I mammut, insomma, hanno così lasciato al mondo dei posteri ossa e zanne giganti, che i naturalisti occidentali hanno iniziato a raccogliere nel diciassettesimo secolo, prima della scoperta dei dinosauri.
Un’azienda americana studia come ricostruirne il Dna
Pertanto il mammut, spesso confuso all'epoca con il mastodonte americano, è stato considerato come "il dinosauro della prima repubblica americana", tant’è che “due secoli prima che Charles Darwin salisse a bordo del Beagle, l'analisi dei resti di mammut ha dimostrato che la Terra è molto più antica del racconto fornito nella Genesi e che, contrariamente a una dottrina cristiana del disegno divino, non tutte le specie create da Dio durano per sempre”.
Tuttavia, “il dissotterramento del mammut ha dimostrato l'esistenza di un tempo prima del tempo: ovvero, “la sua scomparsa è stata presa come un avvertimento della possibilità di una fine dei tempi; un modo per immaginare, per la prima volta, l'estinzione dell'umanità”, chiosa il New Yorker.
Passa però il tempo e “i mammut lanosi continuano a essere portati alla luce. A giugno, nello Yukon, nel territorio del popolo della Prima Nazione, la Tr'ondëk Hwëch'in, una cercatrice d'oro che si insinua nel permafrost si imbatté in un cucciolo di mammut, di circa un mese, squisitamente conservato, con le gambe infilate sotto, come se si fosse appena addormentata”.
Oggi, però, osserva il settimanale Usa, creare un cucciolo di mammut lanoso ”è l'obiettivo di Colossal, una società di bioscienze e ingegneria genetica fondata l'anno scorso dal genetista di Harvard George Church e dall'imprenditore seriale Ben Lamm, che in precedenza aveva lanciato la società di intelligenza artificiale Hypergiant”.
"L'estinzione è un problema colossale che il mondo deve affrontare", annuncia il sito Web della startup, "e Colossal è l'azienda che lo risolverà". In che modo? Il piano è ricostruire il Dna del mammut lanoso, tant’è che il mese scorso Colossal ha annunciato che, insieme con il Vertebrates Genomes Project, “aveva completato la ricostruzione del Dna dell'elefante asiatico”.
C’è chi crede infatti che “I mammut risorti popolerebbero il permafrost e ne scongiurerebbero lo scioglimento trasformando la tundra bagnata in praterie asciutte, che meglio sequestrano il carbonio e riflettono la luce solare, mantenendo il permafrost più fresco e aiutando, quindi, a salvare il pianeta”.
Conclude sconsolato il New Yorker: “A parte gli innumerevoli problemi etici, gli ostacoli tecnologici e le improbabilità scientifiche di questa impresa, non ha quasi senso questa operazione genetica come mitigazione del cambiamento climatico; è troppo poco, troppo tardi”.