AGI - A tre mesi dall'operazione è libera dalla malattia e vive con il 7% del suo fegato, fatto crescere grazie a una strategia chirurgica eseguita nelle sale operatorie dell'Azienda ospedaliero-universitaria di Pisa. È l'estrema sintesi di un intervento, primo nel suo genere nel mondo, avvenuto su una giovane donna affetta da un tumore del colon sinistro non operabile per l'interessamento massivo del fegato.
La donna ha così scelto di affidarsi al gruppo multidisciplinare della chirurgia epatica del risparmio d'organo dell'Azienda ospedaliera pisana. Ma non è stato facile, soprattutto per le diverse fasi multispecialistiche interessate, che alla fine hanno portato al successo.
L'oncologa di riferimento, Chiara Cremolini, ha infatti costantemente monitorato la risposta alla chemioterapia all'interno del gruppo multidisciplinare. Proprio grazie all'interazione tra specialisti è stata intravista la possibilità del trattamento chirurgico. Infatti, la buona risposta alla terapia farmacologica ha favorito l'ipotesi di asportare tutte e 55 le metastasi salvando una piccola parte del fegato di sinistra corrispondente al 7% dell'organo intero.
Per eseguire una resezione epatica - viene spiegato - è necessario che il volume del fegato residuo (quello che resta dopo l'intervento) sia pari almeno al 40% per sostenere le funzioni vitali dopo l'intervento. In questo caso quindi, questo 7% sarebbe dovuto aumentare più di 5 volte. Di tutte le tecniche finora note per indurre la rigenerazione epatica e far aumentare il volume del fegato residuo, la tecnica Alpps è riconosciuta come la più efficace e potente, anche se la più rischiosa.
L'Alpps, descritta per la prima volta nel 2012, consiste in due interventi chirurgici a distanza di 8 giorni l'uno dall'altro. Nel primo intervento si divide il fegato in due parti mantenendo il flusso ematico della vena porta solo nella piccola parte di fegato sana che deve rigenerare, nel secondo si rimuove la parte di fegato con la malattia, rimasta in sede per sostenere le funzioni vitali del paziente, fino a quando la parte sana ha completato la rigenerazione raggiungendo un volume adeguato alla sopravvivenza del paziente.
Per applicare questa tecnica, la paziente è stata sottoposta dunque al primo tempo chirurgico, nel corso del quale è stata eseguita la bipartizione epatica asportando la parte centrale del fegato, associando la bonifica del fegato di sinistra con l'interruzione del flusso del sangue portale al fegato di destra. Dopo circa 3 settimane il volume del fegato residuo è quadruplicato, passando dal 7% al 28%, ma ancora lontano dal 40% necessario per assicurare le funzioni vitali, impedendo l'esecuzione del secondo tempo chirurgico.
Non essendo descritti in letteratura scientifica stimoli rigenerativi superiori all'Alpps, il 28% rappresentava il 'limite' della massima rigenerazione ottenibile. Limite che ad oggi non è mai stato superato, non essendo mai stata applicata alcuna procedura radiologica o chirurgica in caso di fallimento dell'Alpps. La nuova strategia per far crescere ulteriormente il fegato residuo è stata pianificata all'interno del gruppo multidisciplinare.
L'equipe ha così deciso di eseguire un ulteriore tempo chirurgico intermedio per asportare metà del fegato destro precedentemente "de-portalizzato" e lasciato temporaneamente in sede con le metastasi.
L'intervento chirurgico, eseguito da Lucio Urbani, è stato estremamente complesso sia per le aderenze infiammatorie sia per la necessità di ricostruire la vena sovraepatica destra per gestire la grande quantità di lesioni neoplastiche. Dopo una settimana il volume del fegato residuo è aumentato, raggiungendo il volume desiderato pari al 41% ed è stato possibile eseguire l'ultimo tempo chirurgico per asportare definitivamente la parte di fegato malato e contemporaneamente rimuovere il tumore primitivo del colon sinistro.