AGI - Una nuova ricerca ha permesso di approfondire la comprensione delle complessità del disgelo del permafrost e di come il carbonio viene rilasciato nel tempo, grazie ad una iniziativa condotta in collaborazione tra l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) e la NASA. Sottolineando l'importanza del permafrost nel sistema climatico, la rivista Nature Reviews Earth & Environment ha recentemente presentato una vasta gamma di articoli di ricerca in una raccolta speciale che esamina i cambiamenti fisici, biogeochimici ed ecosistemici legati al disgelo del permafrost e gli impatti associati.
Il permafrost è costituito da terreno ghiacciato, roccia o sedimenti, a volte spessi centinaia di metri. Per essere classificato come permafrost, il terreno deve essere ghiacciato da almeno due anni, ma gran parte del sottosuolo nelle regioni polari è rimasto ghiacciato dall'era glaciale. Il permafrost contiene resti di vegetazione e animali a base di carbonio che si sono congelati prima che la decomposizione potesse instaurarsi. La maggior parte del permafrost terrestre si trova nell'emisfero settentrionale: il permafrost artico immagazzina quasi 1.700 miliardi di tonnellate di carbonio.
Una delle tante gravi conseguenze della crisi climatica è che il prezioso permafrost si sta sciogliendo, e questo sta liberando ancora più carbonio nell'atmosfera e aggravando ulteriormente il cambiamento climatico. Il processo con cui avviene tutto questo però è decisamente complicato. Ad esempio, a volte il permafrost può scongelarsi rapidamente e gli scienziati non sono sicuri del perchè e di cosa significhino questi bruschi scongelamenti.
Il permafrost svolge un ruolo fondamentale nell'impedire al nostro pianeta di perdere la sua temperatura, ma l'aumento delle temperature globali, particolarmente evidente nell'Artico, sta provocando il disgelo del suolo sotterraneo e il rilascio di carbonio di lunga data nell'atmosfera. Lo scongelamento improvviso e il termocarsimo, che è un rapido processo di degradazione del permafrost ma varia in modo significativo a seconda delle condizioni locali, possono emettere quantità sostanziali di carbonio nell'atmosfera molto rapidamente, anche nel giro di pochi giorni. Questi processi rischiano di mobilitare il carbonio profondo contenuto nello jedoma (o yedoma).
Lo jedoma è un tipo di permafrost formatosi tra 1,8 milioni e 10.000 anni fa che è particolarmente ricco di materiale organico, quindi una fonte significativa di metano atmosferico. Gli incendi sempre più frequenti nell'Artico porteranno anche a un flusso di carbonio notevole e imprevedibile. "Grazie a missioni come SMOS e Copernicus Sentinel-5P dell'ESA, la ricerca condotta nell'ambito dell'ESA-NASA Arctic Methane and Permafrost Challenge nell'ambito del programma FutureEO dell'ESA e della Climate Change Initiative dell'ESA si sta rivelando ancora una volta essenziale per comprendere meglio gli effetti che il cambiamento climatico sta avendo sul delicato ambiente artico e come questi cambiamenti, a loro volta, si aggiungono alla crisi climatica", ha dichiarato Diego Fernandez dell'ESA.