AGI - Analizzando il Dna antico presente in feci sedimentarie risalenti a circa 50.000 anni fa, un gruppo internazionale di ricerca è riuscito ad individuare un nucleo di microrganismi che si ritrovano ancora oggi nell’intestino dell’uomo moderno: una scoperta che può rivelarsi utile per proteggere la biodiversità del nostro microbiota (l'insieme dei microrganismi simbionti che a migliaia di miliardi abitano l’intestino umano, definito dagli studiosi una componente essenziale della nostra biologia).
I risultati dello studio – pubblicati su Communication Biology – suggeriscono l'esistenza di componenti ancestrali del microbiota che popolano l'intestino umano da prima ancora della separazione tra Homo sapiens e Uomo di Neanderthal, avvenuta più di 700.000 anni fa. La scoperta arriva da un gruppo internazionale di ricerca, guidato da studiosi dell'Università di Bologna, che è riuscito per la prima volta ad estrarre e analizzare il DNA antico presente in feci sedimentarie risalenti a circa 50.000 anni fa, rinvenute nel sito archeologico di El Salt, vicino ad Alicante, in Spagna.
Si è così visto che la componente ancestrale del microbiota intestinale umano comprende una serie di batteri ben noti (tra cui Blautia, Dorea, Roseburia, Ruminococcus e Faecalibacterium), che si dimostrano quindi essenziali per la nostra salute: producendo acidi grassi a catena corta a partire dalle fibre assunte con l'alimentazione, questi batteri sono importanti regolatori dell'equilibrio metabolico e del sistema immunitario.
C’è poi Bifidobacterium: un microrganismo che ha un ruolo chiave per la regolazione delle difese immunitarie, soprattutto nella prima infanzia. Infine, nel microbiota intestinale dell'Uomo di Neanderthal gli studiosi hanno ritrovato anche alcuni degli “old friends”, confermando così le ipotesi sulla loro natura ancestrale e sulla loro recente scomparsa dovuta al contesto di vita moderno.
"Questi risultati ci permettono di capire quali componenti del microbiota intestinale umano sono fondamentali per la nostra salute, perché evidentemente, anche in senso evolutivo, la loro presenza è indispensabile per il funzionamento dei processi biologici dell'uomo", spiega Marco Candela, professore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'Università di Bologna, che ha coordinato lo studio.
"Oggi assistiamo ad una preoccupante riduzione della diversità del nostro microbiota, dovuta al contesto di vita moderno: queste nuove informazioni possono aiutarci ad individuare soluzioni, tra dieta e stile di vita, per frenare questo fenomeno".
Diversi studi hanno infatti mostrato che alcuni elementi legati alla modernità – ad esempio il consumo di cibi processati, l’uso di farmaci, la vita in ambienti ipersanificati – hanno portato ad una profonda riduzione della biodiversità nel microbiota intestinale, con la perdita in particolare di una serie di microrganismi, proprio quelli definiti “old friends”.
Alcuni segnali di allarme ci sono già, su tutti il rapido aumento in Occidente di patologie come malattie infiammatorie croniche intestinali, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e cancro al colon-retto.