AGI – I prodotti pensati per rimpiazzare l’uso dell’olio di palma, associato alla deforestazione e alla conseguente perdita della biodiversità, potrebbero rivelarsi addirittura più dannosi per l’ambiente. È quanto emerge da uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Plants, condotto dagli esperti dell’Università del Queensland, in Australia, che hanno valutato l’impatto delle catene di approvvigionamento e produzione dell’olio di palma e surrogati.
“Il materiale estratto dal frutto della palma da olio – afferma Erik Meijaard dell’Università del Queensland – è economico e versatile e rappresenta l’olio vegetale più comune al mondo. La produzione globale di questo lubrificante è triplicata dal 1995 al 2015, con la conseguente deforestazione e la perdita di ampie fasce di foreste pluviali in Malesia e Indonesia”.
Il team ha valutato che le nuove piantagioni di olio di palma nel Borneo malese hanno rappresentato il 50 per cento del contributo alla deforestazione avvenuta tra il 1972 e il 2015, mentre un rapporto degli attivisti di Global Forest Watch attesta che l’Indonesia ha perso 26,8 milioni di ettari di copertura arborea tra il 2001 e il 2009.
“La crescente domanda globale di olio vegetale, che secondo i nostri dati aumenterà del 46 per cento entro il 2050 – aggiunge l’esperto – potrebbe portare alla coltivazione di prodotti come soia o colza, che richiedono tempi maggiori per crescere. L’espansione della produzione di olio di palma, affinché domanda e offerta siano soddisfatte, richiederebbe un totale di 36 milioni di ettari di terreno aggiuntivo, mentre la sostituzione con la soia si tradurrebbe in un totale di 204 milioni di ettari in più”. Lo scienziato sottolinea che, nonostante la nostra conoscenza dell’olio di palma e dei suoi impatti sulla biodiversità, sulla società e sull’ambiente siano ben noti, le altre colture non sono altrettanto comprese.
“Rinunciare all’olio di palma significa puntare su un'altra sostanza – osserva l’autore – il danno ambientale causato dalle piantagioni di palma da olio giustifica l'attenzione che il problema riceve, ma è fondamentale che questa riflessione porti a processi decisionali basati su una buona conoscenza e su un discreto livello di comprensione, o i problemi che ne deriverebbero sarebbero davvero gravi”.
Il gruppo di ricerca propone di affrontare la carenza di informazioni creando mappe globali aggiornate che mostrino i siti di coltivazione di colture alternative, per determinare quanta terra e quale tipo di ecosistemi naturali sono stati influenzati da queste agricolture.
“Sono necessari ulteriori indagini sulle colture – ribadisce Varsha Vijay, dell’Università del Tennessee, che ha studiato l'impatto ambientale dell'olio di palma – i pianificatori dovrebbero evitare di concentrarsi su confronti ristretti dell'uso del suolo. L’olio di palma ha una buona resa per ettaro, ma è quasi interamente coltivato in aree note per essere importanti per la biodiversità. La nostra analisi evidenzia che sono 321 le specie minacciate dall'olio di palma, contro 73 per la soia e una per la colza”. “Oltre alla superficie impiegata – conclude Vijay – è importante considerare l’ubicazione del raccolto e il suo impatto sotto tutti i punti di vista per poter effettuare poi le scelte più adeguate e sostenibili”.