AGI - I cani hanno difficoltà a comprendere il linguaggio umano perché non riescono a distinguere le parole dal suono simile come “cani” e “coni”. Lo evidenziano in un articolo pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science gli esperti della Loránd University, che hanno misurato l’attività cerebrale canina mentre gli animali ascoltavano la pronuncia di varie parole. “I cani sono in grado di ascoltare parole che possono riconoscere – spiega Attila Andics della Loránd University – ma non riescono a differenziare in caso di emissioni simili. Questo potrebbe spiegare perché i cani in genere riconoscono solo poche parole”.
Il team ha monitorato l’attività cerebrale di 17 cani non addestrati di età compresa tra 1,5 e 9,5 anni tramite elettroencefalografia non invasiva (EEG), confrontando i picchi osservati durante l’ascolto di parole di senso compiuto e parole simili ma prive di senso. “Ulteriori ricerche – continua il ricercatore – potrebbero rivelare se la difficoltà di riconoscere le parole sia legata all’impossibilità di acquisire un vocabolario considerevole”. L'analisi dell'attività cerebrale elettrica registrata ha mostrato che il cervello dei cani discriminava chiaramente e rapidamente le parole conosciute dalle parole senza senso molto diverse a partire da 200 millisecondi dopo l'inizio delle parole. “L'elettroencefalografia è un metodo sensibile non solo all'attività cerebrale ma anche ai movimenti muscolari – aggiunge Lilla Magyari, collega e coautrice di Andics – per cui dovevamo assicurarci che i cani tendessero i muscoli il meno possibile durante la misurazione”.
Stando ai risultati dello studio, il cervello dei cani non faceva differenza tra parole conosciute e i costrutti simili ma privi di senso, in un modello molto simile a quello osservato nei bambini di circa 14 mesi. “Ipotizziamo che la somiglianza dell'attività cerebrale dei cani per le parole che riconoscono e quelle inventate rifletta bias di attenzione e di elaborazione – conclude Andics – alcuni dei cani non sono riusciti a restare calmi, per cui la misurazione non è stata considerata per via dell’imprecisione, con un tasso di frequenza molto simile a quello riscontrato negli studi con i neonati. Saranno necessari ulteriori approfondimenti con un numero maggiore di esemplari, ma siamo davvero entusiasti di questi primi dati”.