AGI - Il nuovo coronavirus potrebbe avere un effetto antidolorifico nelle prime fasi per permettere all’agente patogeno di infettare l’organismo. A rivelarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Pain, condotto dagli esperti dell'Università dell'Arizona Health Sciences, che hanno analizzato il modo in cui la malattia si diffonde in tutto il corpo attraverso una ricerca in cui sono stati coinvolti dei topolini.
“Il nuovo coronavirus – afferma Rajesh Khanna, docente presso l'Università dell'Arizona – potrebbe essere in grado di bloccare il dolore e mascherare la malattia nelle sue fasi iniziali. Il sollievo dal dolore potrebbe verificarsi entro 30 minuti dall'infezione e prolungarsi per ore o addirittura giorni. Questa potrebbe essere la ragione dell’elevato numero di pazienti asintomatici”.
Il team ha scoperto che la proteina spike utilizzata dal virus per entrare nelle cellule si lega a un recettore che può invertire il percorso di segnalazione del dolore e limitare l’eccitazione dei neuroni che causa la percezione del dolore.
“Saranno necessarie ulteriori indagini – sostiene il ricercatore – ma se dimostrassimo che il virus può inibire il dolore e ritardare la consapevolezza della malattia potremmo ampliare la nostra conoscenza della pandemia e ideare nuove strategie di approccio”.
Il gruppo di ricerca ha condotto gli esperimenti su oltre cento topolini, metà dei quali hanno ricevuto la proteina spike inattiva del coronavirus per verificare se tale trattamento potesse o meno sperimentare sollievo dal dolore, mentre l’altra metà dei partecipanti ha ricevuto un placebo.
“Nei soggetti a cui erano state somministrate le proteine spike – afferma Khanna – il dolore è stato alleviato in soli 30 minuti, e l’effetto antidolorifico è durato per almeno nove ore”. L’esperto aggiunge che le dosi della proteina non influenzavano il tempo di azione dell’effetto calmante.
“Per i prossimi studi – concludono gli autori – cercheremo di comprendere se la somministrazione di questo enzima potrà limitare la necessità di prescrivere oppioidi e fungere da antidolorifico. Credo che il nostro lavoro avrà implicazioni fondamentali nella ricerca di strategie volte a limitare il consumo di oppioidi e nella battaglia contro la pandemia”.