AGI - Privilegiare cibi come lenticchie, fagioli e noci a carne e latticini potrebbe contribuire a rimuovere fino a 16 anni di emissioni di anidride carbonica entro il 2050, riducendo l’impronta di carbonio e favorendo la ricostruzione degli habitat naturali. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Sustainability, condotto dagli esperti della New York University, che hanno calcolato l’impronta di carbonio derivante dalla sostituzione di alimenti di origine animale con alternative proteiche a base vegetale.
“Attualmente – spiega Matthew Hayek della New York University – circa l’83 per cento del terreno agricolo mondiale è dedicato alla produzione di carne e latticini, maggior parte dei quali produce bassi rendimenti. Ridurre questa cifra rappresenta il modo migliore per contrastare il cambiamento climatico”. Il team ha mappato le aree del pianeta in cui l’uso del suolo per la produzione di origine animale è stato perseguito a scapito della vegetazione autoctona.
“Modificare la nostra dieta – continua l’esperto – potrebbe consentire il ripristino degli ecosistemi naturali, contribuendo a compensare le emissioni globali di anidride carbonica. Nel nostro lavoro abbiamo mappato solo le aree in cui i semi potrebbero disperdersi naturalmente, crescendo e moltiplicandosi in dense foreste ricche di biodiversità”.
Stando ai risultati dei ricercatori, esistono più di 7 milioni di chilometri quadrati in cui le foreste potrebbero prosperare in modo naturale. “Se riuscissimo a ridurre la domanda di carne – osserva Hayek – la ricrescita della vegetazione potrebbe contribuire a smaltire dai nove ai 16 anni di emissioni di CO2 entro il 2050. Possiamo pensare di spostare le nostre abitudini alimentari verso consumazioni più ecosostenibili”.
Gli autori sperano che questi risultati possano spingere verso scelte atte a mitigare gli effetti del cambiamento climatico. “L’uso del suolo è una questione di compromessi – commenta Nathan Mueller della Colorado State University di Fort Collins e seconda firma dell’articolo – il potenziale per ripristinare gli ecosistemi è notevole, ma l’allevamento estensivo è culturalmente ed economicamente importante in molte regioni del mondo. Le nostre scoperte possono aiutare a individuare i luoghi in cui il ripristino degli ecosistemi e l'arresto della deforestazione in corso avrebbero i maggiori benefici in termini di impronta di carbonio”.
Gli scienziati sottolineano che il ripristino degli ecosistemi naturali potrebbe portare a una serie di vantaggi. “La riduzione della produzione di carne – precisa William Ripple della Oregon State University di Corvallis, coautore dell’articolo – sarebbe vantaggiosa anche per la qualità e la quantità di acqua disponibile, per gli habitat della fauna selvatica e per la biodiversità”. “Ora sappiamo che ecosistemi intatti possono anche ridurre il rischio della diffusione di pandemie zoonotiche – conclude Helen Harwatt della Harvard Law School e coautrice dell’articolo – per cui il ripristino degli habitat è fondamentale per la salute del bestiame, della fauna selvatica e dell’uomo”.