AGI - C'è vita su un pianeta lontano? Gli astronomi stanno cercando di scoprirlo analizzando la luce che viene diffusa dall'atmosfera degli esopianeti, ovvero i pianeti che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole. Parte di quella luce, che proviene dalla stella attorno a cui orbita l'esopianeta, ha interagito con la sua atmosfera e può quindi fornire importanti indizi sui gas che essa contiene. Tali gas sono noti come "firme biologiche". Il rilevamento di gas come ossigeno, metano oppure ozono, potrebbe indicare la presenza di organismi viventi.
Un team di scienziati dell'Università Roma Tor Vergata e dell'Ecole Polytechnique Federale de Lausanne (EPFL), la cui ricerca è stata pubblicata dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha sviluppato un modello statistico che può aiutare gli astronomi a interpretare i risultati della ricerca di questi "segni di vita". Da quando il primo esopianeta è stato scoperto 25 anni fa, ne sono stati identificati più di 4.300. E l'elenco e' ancora in crescita: ne viene scoperto uno nuovo ogni due o tre giorni. Circa 200 degli esopianeti trovati finora sono rocciosi e di dimensioni simili alla Terra. Sebbene questo non sia l'unico requisito affinché un pianeta sia in grado di ospitare la vita - deve anche avere acqua liquida e trovarsi a una certa distanza dal suo sole - è uno dei criteri che gli astronomi utilizzano per focalizzare la loro ricerca.
Nei prossimi anni, l'uso della spettroscopia dei gas per rilevare le firme biologiche nelle atmosfere degli esopianeti diventerà un elemento sempre piu' importante dell'astronomia. Molti programmi di ricerca sono già in corso in quest'area, come il satellite CHEOPS per la caccia agli esopianeti, entrato in orbita nel dicembre 2019, e il telescopio ottico James-Webb, che dovrebbe essere lanciato nell'ottobre 2021. Sebbene siano stati compiuti molti progressi nel rilevamento delle firme biologiche esoplanetarie, rimangono diversi punti interrogativi. Quali sono le implicazioni di questo tipo di ricerca? Come interpretare i risultati? Cosa succede se viene rilevata una sola firma biologica su un pianeta? E se non vengono rilevate firme biologiche, quale conclusione dovremmo trarre? Questo il tipo di domande alle quali gli scienziati di "Tor Vergata" e dell'EPFL intendono rispondere con il loro nuovo modello.
Il loro lavoro affronta il problema da una nuova angolazione. "Non sappiamo se la vita è comune nell'universo, e sebbene in futuro potremo studiare più in dettaglio gli esopianeti più vicini, non potremo certo osservare tutti i mondi potenzialmente abitabili della galassia", spiega Amedeo Balbi, professore di Astronomia e Astrofisica presso il Dipartimento di Fisica di Tor Vergata. "Intuitivamente ha senso pensare che nel momento in cui dovessimo trovare 'segni di vita' su un altro pianeta, diventerebbe piu' probabile che ne esista un gran numero nella galassia. Ma quanti?", aggiunge.
Il modello sviluppato dagli scienziati trasforma questo presupposto intuitivo in un calcolo statistico e consente di determinare esattamente il significato dei risultati in termini di quantità e frequenza. Usando la statistica bayesiana, particolarmente adatta a questo tipo di indagine, gli scienziati hanno calcolato la probabilità di vita nella nostra galassia in base al numero di firme biologiche rilevate: una, diverse o nessuna. "Alcuni scienziati sono piu' ottimisti di altri sulla possibilità di vita nell'universo - prosegue Balbi. - Con il nostro nuovo metodo, cerchiamo di capire come questi punti di vista verrebbero modificati dalle osservazioni che saremo in grado di fare nei prossimi decenni".
Dato il numero esiguo di pianeti che saranno probabilmente esaminati nel prossimo futuro e supponendo che la vita emergerà indipendentemente su ciascun pianeta, lo studio di Tor Vergata e EPFL ha dimostrato che se venisse rilevata anche una sola firma biologica, potremmo concludere, con una probabilità maggiore del 95 per cento, - affermano Balbi e Grimaldi - che i pianeti abitati nella galassia siano più di 100.000, cioè più del numero di pulsar (oggetti creati quando una stella massiccia esplode alla fine della sua vita). D'altra parte, proseguono gli scienziati, qualora non venissero rilevate firme biologiche non potremmo necessariamente concludere che altre forme di vita non esistano altrove nella Via Lattea.
Gli scienziati hanno anche preso in considerazione l'ipotesi della "panspermia", secondo la quale invece di emergere indipendentemente su ciascun pianeta, la vita potrebbe diffondersi tra pianeti vicini, ad esempio attraverso la materia organica o organismi microscopici trasportati su comete. Cio' implicherebbe che la probabilità di vita su un pianeta dipenda anche da quanto è lontano dagli altri pianeti e da quanto facilmente varie forme di vita - le cui caratteristiche fisiche potrebbero essere estremamente diverse da quelle a noi familiari - sono in grado di resistere alle condizioni estreme dello Spazio, di viaggiare e adattarsi al nuovo pianeta. "Tenere conto dell'ipotesi di panspermia altera le deduzioni sul numero di pianeti abitati che potrebbero esistere altrove nella galassia", concludono gli scienziati.