AGI - Le distese d’acqua presenti su una delle 79 lune di Giove, Europa, potrebbero soddisfare i requisiti di abitabilità. Lo hanno suggerito durante la conferenza Goldschmidt gli esperti del Jet Propulsion Laboratory della NASA, che hanno elaborato nuovi modelli per studiare le origini e la composizione degli oceani su Europa. Il lavoro, che non è stato ancora sottoposto a peer review, potrebbe avere implicazioni sulle altre lune del Sistema solare.
“Secondo i nostri calcoli l’acqua sotterranea di questa luna di Giove potrebbe essersi formata a seguito dello sfaldamento di alcuni minerali, che contenevano acqua, provocato dal decadimento radioattivo o dalle forze di marea”, spiega Mohit Melwani Daswani del Jet Propulsion Laboratory.
“Siamo stati in grado di modellare la composizione e le proprietà fisiche del nucleo, dello strato di silicato e dell'oceano di Europa. Abbiamo scoperto che diversi minerali perdono acqua e sostanze volatili a diverse profondità e temperature, per cui i corpi oceanici come il satellite di Giove potrebbero essersi formati per metamorfismo, cioè dal riscaldamento e dall’aumento della pressione provocati dal decadimento radioattivo nonché dai movimenti delle maree, che portano alla rottura dei minerali”, continua l’esperto, aggiungendo che in origine le acque di Europe avrebbero potuto essere leggermente acide, mentre stando alle simulazioni ora sono molto simili agli oceani sulla Terra.
“Europa è una delle nostre migliori possibilità di trovare vita nel Sistema solare. Nei prossimi anni verrà lanciata Europa Clipper della NASA, che esplorerà il satellite. Il nostro lavoro è stato svolto proprio in vista della missione. I modelli suggeriscono che una composizione simile potrebbe essere rintracciata anche su Ganimede, un’altra luna di Giove, o Titano, uno dei satelliti di Saturno.
“La domanda sulla possibilità che un corpo come Europa possa ospitare la vita si riduce al fatto che possa o meno sostenere un flusso di elettroni che potrebbe fornire energia per alimentare la vita. È ciò a cui si cercherà di rispondere nelle prossime missioni”, conclude Steve Mojzsis, docente di Geologia presso l’Università del Colorado, che non è stato coinvolto nel lavoro.