L'Homo Erectus usava strumenti differenziati per lavorare e mangiare carne
Circa 400.000 anni fa l'uomo aveva un set molto sofisticato di strumenti per lavorare la carne delle prede e per mangiarla. Sono questi i risultati di uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori guidati da Flavia Venditti dell’Università di Tel Aviv (TAU) e membro del Laboratorio di Analisi tecnologica e funzionale di manufatti preistorici (Ltfapa) della Sapienza che sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports di Nature.
La cultura acheuleana risale all’era del Paleolitico inferiore ed è caratterizzata da manufatti litici bifacciali a forma di mandorla, lavorati sui due lati in maniera simmetrica. Da sempre questi utensili hanno attirato l’attenzione dei ricercatori che ne hanno fatto lo strumento principe per la ricostruzione delle strategie di sussistenza di Homo erectus, il diretto antenato dei Neanderthal.
Accanto alla produzione di bifacciali e di grandi strumenti da taglio esiste però una produzione composta da schegge e strumenti di piccole dimensioni che per decenni sono stati ignorati dalla comunità scientifica perché considerati prodotti di scarto delle produzioni principali.
Nel sito archeologico di Revadim, in Israele, sono state scoperte centinaia di queste piccole, a volte minuscole, schegge di selce associate alla presenza di numerosi bifacciali, raschiatoi e cospicui resti di fauna, incluso l’elefante. Gli autori dello studio, hanno condotto analisi microscopiche su 283 piccole schegge datate 300-500,000 anni, al fine di ricostruirne le modalità di produzione e utilizzo.
I risultati hanno evidenziato come questi piccoli strumenti non fossero il risultato di scarti di lavorazione, bensì il prodotto della volontà di riciclare vecchie schegge abbandonate utilizzate come supporti per la produzione di nuove schegge affilate. Inoltre, l’analisi microscopica dei segni di usura, unitamente all’analisi morfologica e chimica dei residui organici, ha evidenziato come questi strumenti fossero utilizzati per attività di precisione durante specifici momenti della lavorazione delle carcasse animali.
In particolare centosette schegge hanno mostrato chiari segni di usura attraverso il riconoscimento di specifiche rotture del margine d’uso e micro trasformazioni nella struttura della selce interpretate come il ripetuto contatto con l’osso e con i tessuti animali. Tali dati sono stati confermati dal riconoscimento di tracce organiche e inorganiche incredibilmente conservate sugli strumenti preistorici.
Tali residui (come osso, grasso, fibre di collagene) sono stati riconosciuti su 41 schegge e identificati attraverso analisi della loro morfologia, analisi chimica all’infrarosso e analisi ai raggi X, effettuate grazie alla collaborazione con il laboratorio Diet and Ancient Technology (DANTE) e il Dipartimento di Chimica della Sapienza.
“Con questo studio – concludono Flavia Venditti e Cristina Lemorini – abbiamo dimostrato come niente venisse scartato dagli hominins di Revadim: vecchie schegge abbandonate venivano raccolte e riciclate come nuclei per la produzione di piccole schegge affilate utilizzate per macellare carcasse animali ed ottenere il massimo delle calorie indispensabili per il loro sostentamento. Questa produzione litica, ed il suo utilizzo peculiare, riflettono un comportamento molto articolato che ha permesso a queste antiche comunità di prosperare per migliaia di anni”. (AGI)